Il quadro del conflitto nel Paese del Golfo è sempre più frammentato e complesso. Eleonora Ardemagni, ricercatrice Associata dell’Ispi ed esperta di Yemen, ne parla in una conversazione con Formiche.net
Da quasi tre anni prosegue instancabilmente in Yemen un conflitto che, da scontro locale-tribale, si è presto trasformato in una guerra per procura tra le due superpotenze della regione, l’Arabia Saudita e l’Iran. Nonostante gli incessanti bombardamenti da parte della coalizione araba a guida sunnita, i ribelli Houthi, che tre anni fa hanno deposto il presidente Abd Rabbih Manṣūr Hādī, presidente yemenita dal 2012, continuano a controllare la capitale Sana’a, costringendo i filogovernativi a riparare nelle postazioni meridionali, tra cui il porto di Aden. Come se non bastasse, ora anche ad Aden è scoppiato il caos, causato da una rivolta dei separatisti del Sud che potrebbe preludere ad un collasso della coalizione.
Per chiarirci le idee su questi sviluppi, Formiche.net ha intervistato Eleonora Ardemagni, ricercatrice Associata dell’Ispi ed esperta proprio di Yemen e di Paesi del Golfo.
Dott.ssa Ardemagni, cosa sta succedendo in queste ore ad Aden dove si parla di un tentato golpe e le forze separatiste avrebbero imbracciato le armi per impossessarsi del Palazzo Presidenziale?
I separatisti hanno il controllo di gran parte della città e hanno circondato il Palazzo Presidenziale. Il presidente Hadi, quello riconosciuto dalla comunità internazionale, non si trova ad Aden ma a Riad. Nel Palazzo Presidenziale si trova però il primo ministro e l’intero governo. Da un punto di vista militare i separatisti hanno provato a fare un atto di forza e ci sono riusciti. Ora bisognerà vedere come utilizzeranno questa supremazia militare. Bisognerà capire se andranno all’escalation totale coi filogovernativi. O se proveranno a negoziare un accordo politico che provi a togliere d’imbarazzo la coalizione militare araba. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno tenuto strategie parallele per tutti questi anni. Le tensioni però crescevano sempre di più all’interno delle fazioni yemenite e questo equilibrio è saltato.
Sembra che questi sviluppi non depongano bene per l’alleanza tra Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.
L’alleanza tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti è molto forte, hanno entrambi bisogno l’uno degli altri. In Yemen i sauditi hanno bisogno degli emiratini che sono più esperti e capaci negli affari militari. Bisogna tenere conto che è anche una questione di schieramenti. Dall’inizio delle operazioni militari neò 2015 gli Emirati si sono concentrati nel Sud dello Yemen, mentre l’Arabia Saudita si è collocata a Nord. Questo perché l’Arabia Saudita ha come primo obiettivo limitare al massimo i movimenti degli Houthi e quindi dell’Iran. Gli Emirati dal canto loro hanno avuto la leadership nelle operazioni di terra del Sud e il loro obiettivo è contenere la Fratellanza Musulmana nello Yemen, come fanno in tutta la regione. Quindi a Sud dello Yemen hanno costruito attraverso una serie di alleanze locali delle forze locali che hanno stabilizzato in parte il Sud dello Yemen specie dopo che sono stati cacciati gli Houthi, che erano arrivati fino ad Aden, facendoli ripiegare verso Nord. Queste milizie che sono state sostenute dagli Emiratini nel Sud hanno sempre avuto simpatie separatiste; sono composte da secessionisti, ex militari e salafiti. Certo, finché c’erano gli Houthi come nemico comune queste forze potevano rimanere unite. Una volta che gli Houthi sono stati costretti a ripiegare verso Nord oguna di queste forze ha pensato di ottenere il predominio su parte del territorio.
Viene da pensare che queste notizie da Aden siano ottime notizie per gli Houthi.
Lo penso anch’io. Probabilmente ora le forze filo-governative confluiranno su Aden per provare a limitare i danni e tentare di opporsi ai separatisti e dovranno lasciare sguarnite sia le aree che hanno faticosamente conquistato negli ultimi mesi sia le linee sul fronte ancora contese.
Tutto lascia intendere dunque che il dramma dello Yemen proseguirà ulteriormente.
Sì. Perché non parliamo di un conflitto ma di tanti conflitti insieme. Proprio perché gli attori sono sempre più frammentati. Gli insorti e i filogovernaivi si sono frammentati Gli insorti si sono spaccati due mesi fa con l’uccisione dell’ex presidente Saleh. Il blocco di potere di Saleh non ha per il momento trovato una guida unitaria e quindi è spaccato al suo interno. Conseguentemente gli Houthi hanno consolidato il controllo a Sana’a e nelle loro roccaforti nell’estremo Nord. Ma anche loro non hanno più l’alleanza salda con i seguaci di Saleh. D’altra parte i filogovernativi non sono mai stati tutti per il presidente Hadi ma hanno sempre seguito agende diverse. Questo è il quadro e mi fa pensare che la prosecuzione del conflitto, specie a livello micro, sarà molto probabile.
Come si spiega che una coalizione poderosa formata dalle principali potenze della regione con il sostegno della superpotenza americana e della Gran Bretagna non sia ancora riuscita in tre anni a sbloccare questo conflitto?
I bombardamenti dall’alto non bastano. Non sono serviti, anzi, hanno cementato l’alleanza degli insorti. Un’alleanza che poi si è spaccata a dicembre quando l’ex presidente Saleh ha cercato di riavvicinarsi ai sauditi essendosi accorto che il conflitto era entrato in una fase di logoramento e di stallo. Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno puntato sul Nord del paese e sui bombardamenti ma non hanno organizzato una campagna di terra, che sarebbe altrettanto devastante. Il fatto che il conflitto in Yemen non sia ancora finita significa che esso andava considerato sin dall’inizio come un conflitto politico-tribale e non come una guerra per procura tra Iran e Arabia Saudita.