Sebbene la guerra in Yemen, che ha generato la crisi umanitaria più grave al mondo in questo momento, continui ad infuriare, c’è qualcuno che sta pensando ad una sua conclusione onorevole. Secondo fonti diplomatiche sentite da Reuters, funzionari sauditi e il portavoce degli Houthi Mohammed Abdul-Salam da due mesi a questa parte si stanno incontrando in Oman per discutere la fine delle ostilità.
“Ci sono consultazioni tra gli Houthi e i sauditi”, ha detto anonimamente un diplomatico a Reuters, “ed è chiaro che c’è un desiderio degli Houthi e della coalizione di raggiungere un accordo onnicomprensivo”. Gli interessati non commentano ufficialmente la notizia. Un funzionario della coalizione araba ha negato a Reuters che siano in corso negoziati e ha riaffermato l’appoggio agli sforzi di pace dell’Onu. Gli Houthi si trincerano dal canto loro nel più stretto riserbo.
Ma questo negoziato segreto sembra studiato apposta per facilitare il lavoro del nuovo inviato Onu per la pace in Yemen, l’ex diplomatico britannico Martin Griffiths, che si è insediato nel suo nuovo posto domenica. I precedenti tentativi operati dall’Onu sono falliti miseramente, sia i primi due round in Svizzera, alla quale i sauditi nemmeno presero parte, sia l’ultimo in Kuwait risalente all’agosto 2016. Questa volta, invece, l’inviato potrebbe avere una base su cui impostare il proprio lavoro.
Sempre secondo Reuters, pare che le parti stiano negoziando anzitutto una tregua ai combattimenti su scala nazionale, per poi procedere allo studio di un accordo di pace che affronti i principali nodi politici della questione yemenita. Particolare importante: sauditi e houthi starebbero negoziando direttamente, bypassando il governo yemenita riconosciuto internazionalmente e presieduto dal presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi, che da tempo vive in esilio in Yemen.
Il negoziato segreto potrebbe dunque essere l’espressione della volontà saudita di chiudere un capitolo spinoso della loro storia recente, quello di una guerra intrapresa tre anni fa con una coalizione di alcuni paesi arabi e con il sostegno degli Stati Uniti e della Gran Bretagna ma che non riesce a raccogliere alcun risultato. In questi trentasei mesi infatti le posizioni dei contendenti sono cambiate impercettibilmente, mentre i micidiali bombardamenti degli aerei sauditi ed emiratini non hanno intimidito gli avversari ma hanno causato migliaia di morti tra i civili. Inoltre, la guerra ha stremato la popolazione civile, colpita da una grave carestia e da un’epidemia di colera senza precedenti.
Se il conflitto è andato avanti sin qui è solo per la strenua volontà dei sauditi di non concedere una vittoria nemmeno simbolica all’Iran, che sostiene gli houthi ed è sospettato di fornire loro armi e persino missili balistici. Quella in Yemen si sta consumando come una classica guerra per procura, dove le due superpotenze del Medio Oriente – Riad e Teheran – sono alle prese con una sfida diretta in cui nessuno dei due contendenti intende cedere.
Ma la guerra in Yemen è anche il conflitto più impopolare che ci sia. Lo sa bene il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman, che nel recente viaggio in Gran Bretagna ha dovuto assistere ad accese contestazioni a Theresa May da parte delle folle e dell’opposizione laburista per il sostegno militare fornito dal governo di Sua Maestà ai sauditi. Anche negli Stati Uniti c’è chi si sta muovendo per districare la superpotenza dal pantano yemenita: in Congresso sono ferme due proposte di legge che, se approvate, renderebbero impossibile alle forze armate statunitensi sostenere quelle della coalizione araba.
Martedì a Washington peraltro è atteso proprio bin Salman. Che sulla guerra in Yemen è sempre andato d’intesa con il presidente Donald Trump, che del principe condivide ciecamente la linea anti-iraniana. Ma dagli Stati Uniti recentemente sono giunti appelli alla moderazione rivolti ai sauditi e richieste esplicite, come la cessazione dell’embargo dello Yemen che impedisce l’accesso di generi primari e degli aiuti umanitari.
Pare molto probabile dunque che Trump e bin Salman martedì concorderanno una nuova strategia, e forse anche una exit strategy da un conflitto che si è rivelato costoso e inconcludente. E che offre non pochi motivi di soddisfazione ai rivali di Teheran.