La convivenza coi musulmani in questo Paese procede con alcuni punti d’attrito che ogni tanto si arroventano animando il dibattito pubblico. Tra questi punti, il velo integrale costituisce un vero e proprio grattacapo per la popolazione autoctona e per le autorità. Burqa e niqab, che cominciano ad affacciarsi anche nelle nostre strade, costituiscono i segni di una islamizzazione visibile che non apprezziamo perché ci restituisce l’impressione di un paese colonizzato in cui vigono usanze che non possiamo accettare. Non possiamo accettarle perché ci vengono presentate come aspetti di una religione quando sono invece retaggi culturali che qui in Occidente riteniamo indesiderabili. Lungi dall’essere espressione della religione islamica, la velatura integrale è una prescrizione che annulla la personalità della donna nello spazio pubblico. La sua diffusione è uno degli indicatori dell’avanzata dell’integralismo islamico anche nelle nostre contrade, con tutto il suo portato di diktat e imposizioni. La mentalità integralista infierisce sulle donne perché rifiuta il concetto di parità a noi caro, relegando la donna in una dimensione domestica o delimitandone il raggio d’azione in un campo ristretto. Vale la pena ricordare che le donne musulmane nei paesi d’origine si stavano svelando sino a poco tempo fa, abbracciando una modernità agognata come sinonimo di libertà. Ma negli ultimi tempi questo movimento si è invertito, a causa dell’avanzata di versioni della religione islamica particolarmente intransigenti. In Europa la predicazione salafita ha avuto un discreto successo, col risultato di popolare le città europee di vere e proprie enclaves islamiche dove vigono le regole dettate dall’imam o dal predicatore fanatico. Questo è un problema incipiente in Italia, dove non esistono ancora concentrazioni di immigrati di fede islamica tali da creare delle sorte di suk. Ma sul fronte della condotta, è fuori luogo che molti cittadini e cittadine di fede islamica aderiscono a concezioni dogmatiche dell’esistenza che stridono con le abitudini di noi italiani. La donna di San Vito al Tagliamento ha preteso di mettere le proprie convinzioni al di sopra della legge italiana, la quale parla chiaro al riguardo: è vietato l’uso di qualsiasi copricapo o mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona. Che la signora sia rimasta ferma nella propria convinzione di poter assistere al Consiglio comunale dei ragazzi, in Municipio, indossando il niqab denota un conflitto di regole e soprattutto un’assenza di malleabilità che tradisce uno scarso desiderio per l’impostazione di una convivenza ragionevole. La sua insistenza a voler partecipare a una riunione pubblica in un luogo pubblico abbigliata in quel modo è indice di un comportamento che deve essere scoraggiato pena il deterioramento delle relazioni reciproche e la riproposizione di casi giudiziari fotocopia. Il nostro atteggiamento verso i concittadini di fede islamica deve essere aperto ma anche intransigente quando si tratta di definire la cornice di regole comuni. A queste nessuno deve derogare, nemmeno chi crede di avere Dio dalla sua parte.
Un conflitto tra culture e generazioni
Pubblicato il 11/12/2016 - Messaggero Veneto
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