La ministeriale dell’associazione delle nazioni del sudest asiatico (Asean) di ieri a Manila è stata l’occasione per un giro di valzer diplomatico tra le maggiori potenze mondiali, con protagonisti eccellenti come il Segretario di Stato Usa Rex Tillerson, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov, il loro collega cinese Wang Yi e i loro omologhi delle due Coree. A fare da trait-d’union tra i vari bilaterali tenutisi a margine della conferenza è la crisi nucleare nella penisola coreana, giunta ad un nuovo acme con il lancio da parte di Pyongyang di un missile balistico intercontinentale alla fine di luglio e il varo all’unanimità, sabato scorso, di nuove sanzioni contro il regime di Kim Jong un da parte del Consiglio di Sicurezza Onu.
L’osservato speciale della conferenza era il ministro degli Esteri della Corea del Nord Ri Sun-Yong. Alla vigilia, la stampa si è soffermata sulla compresenza di Ri e Tillerson, speculando sulla possibilità di un faccia a faccia tra i due, ovvero sulle manovre che Tillerson sarebbe stato costretto a fare per evitare di incrociare lo sguardo del suo collega. Alla fine, non c’è stato alcun contatto, ma il tema della minaccia nucleare e missilistica della Corea del Nord ha dominato gli altri pour parler, il più atteso dei quali è stato quello tra i responsabili degli esteri delle due Coree. Un incontro sbrigativo e rude, che il ministro del Nord Ri ha liquidato con l’accusa al suo collega del Sud che la proposta di colloqui diretti – finalizzati a disinnescare la tensione tra i due paesi e a prendere misure tangibili come il ricongiungimento delle famiglie separate dal 38mo parallelo – siano “insinceri”.
L’esternazione di Ri è strettamente legata alle nuove sanzioni elevate dalle Nazioni Unite contro il suo Paese, che il Dipartimento di Stato Usa saluta come le più efficaci da sempre. Il pacchetto approvato sabato a New York, con un voto unanime dei quindici membri del Consiglio di Sicurezza, comprende misure severissime di tipo economico che ridurranno di un terzo l’export della Corea del Nord, per un valore di un miliardo di dollari sui tre cui ammonta il totale delle esportazioni del regno eremita. Uno sviluppo che il presidente americano Donald Trump ha annunciato con un tweet entusiastico che sottolineava il “15 a 0″ incassato dal suo paese, che ha proposto la risoluzione attraverso l’ambasciatore Nikki Haley.
Il dato positivo delle nuove sanzioni, che colpiscono l’industria mineraria del Nord, il settore ittico e il lavoro dei suoi cittadini all’estero (tutte preziose fonti di valuta estera per il regime), è il voto favorevole della Cina, su cui l’America ripone grandi aspettative in merito alla possibilità di esercitare pressioni efficaci sul suo pericoloso vicino affinché rinunci al suo programma nucleare e missilistico. Ma l’atteggiamento di Pechino rimane bifronte, come confermato dal faccia a faccia tra i ministri degli Esteri cinese e americano, con il primo che, pur ribadendo la disponibilità a cooperare, si è lamentato dell’installazione da parte degli Usa del sistema antimissile Thaad in Corea del Sud, misura che Washington e Seul considerano legittima alla luce delle minacce provenienti da Pyongyang ma che Pechino ritiene sia rivolta anche contro sé stessa.
La luce verde offerta dalla Cina a New York riguardo le nuove sanzioni contro Pyongyang rappresenta sì un segnale positivo per la Casa Bianca, controbilanciato però dalla tradizionale prudenza verso misure che possano danneggiare la stabilità della regione, e in particolare provocare una improvvisa caduta del regime di Kim, causando magari una riunificazione delle due Coree – sviluppo che Pechino osteggia più di qualsiasi manovra spericolata da parte della Corea del Nord.