Ne ripone talmente tanta da averla definita un “game-changer” nella lotta al virus, da aver giurato davanti al popolo americano che lui stesso la assumerebbe se necessario e soprattutto da aver disposto l’accumulo di “milioni di dosi” nella Riserva Nazionale Strategica dove confluiranno le trenta milioni di dosi che il Dipartimento della Salute ha già ricevuto dalla svizzera Sandoz per trattare su base sperimentale i pazienti contagiati dal Covid-19.
E se non bastassero le forniture dei partner storici degli Usa, ci penserà il primo ministro indiano Narendra Modi, esortato telefonicamente da The Donald in persona nello scorso weekend, a fornire agli americani il quantitativo necessario del farmaco più ricercato di tutti.
Peccato che le convinzioni di Donald Trump sulle proprietà terapeutiche di una cura studiata originariamente per la malaria siano tutt’altro che condivise, oltre che dalla comunità scientifica, dai suoi stessi collaboratori.
Chi ha letto nella notte l’ultima edizione di “Sneak Peak”, la newsletter di Axios curata da Jonathan Swan, avrà anzi appreso che l’idrossiclorochina è stata al centro di quella che Swan definisce una “battaglia epica” andata in scena sabato nella Situation Room della Casa Bianca.
Era all’incirca l’una e mezza del pomeriggio quando, secondo quattro fonti consultate da Swan, al tavolo della Situation Room si sono accomodati il presidente e il suo vice, i due volti pubblici della task force anti-Coronavirus, l’infettivologo Anthony Fauci e la coordinatrice Deborah Brix, il consigliere e genero di Trump Jared Kushner, il capo della Sicurezza Interna Chad Wolf e il commissario della Food and Drug Administration, Stephen Hahn.
Ma il protagonista della scena “epica” non era seduto a quel tavolo, bensì ai suoi lati in mezzo al resto dello staff presidenziale.
Stiamo parlando di Peter Navarro, il consigliere economico di Trump noto per le sue durissime posizioni anti-cinesi che è stato incaricato ora dal suo boss di gestire, sulla base dei poteri straordinari conferiti alla Casa Bianca dal Defense Production Act, gli approvvigionamenti del materiale sanitario indispensabile nella lotta al virus.
L’episodio si consuma verso la fine della riunione, quando Hahn prende la parola per intavolare una discussione sull’idrossiclorochina.
Dopo aver illustrato i risultati delle sperimentazioni fatte in questo periodo, Hahn è stato bruscamente interrotto da Navarro che ha platealmente scaricato sul tavolo numerose cartelle che ha poi distribuito ai presenti.
In quei fogli presenti dati e informazioni che dimostrerebbero quella che Navarro ha definito, con parole confermate da una delle fonti di Swan, “chiara efficacia terapeutica” dell’idrossiclorochina.
A quel punto “l’adulto nella stanza”, ossia Fauci, ha replicato con le obiezioni già avanzate da lui e altri in più occasioni: ossia che le prove di tale efficacia sono solo “aneddotiche”, che le ricerche realizzate in Francia e Cina evocate dai sostenitori del rimedio non sono attendibili perché prive del riscontro dei gruppi di controllo, e che dunque – in buona sostanza – l’entusiasmo di Trump e Navarro non poggia ancora su una sufficiente evidenza scientifica.
“Questa è scienza, non aneddoti” – sarebbe stata, secondo un’altra fonte, la replica adirata di Navarro.
Che a quel punto, non trattenendosi più, si è scagliato contro il povero Fauci accusandolo falsamente di aver remato contro la decisione del presidente di chiudere il paese ai voli dalla Cina.
Ci ha pensato Kushner a stemperare il clima con una battuta rivolta a Navarro con la quale, oltre a pregarlo di chiudere l’incidente, ha confermato che la linea del governo è l’approvvigionamento di massa dell’idrossiclorochina.
Ma con un compromesso: saranno dottore e paziente a decidere di comune accordo la somministrazione.
Pochi minuti dopo cominciava la conferenza stampa in cui un The Donald particolarmente in forma ha magnificato le proprietà della terapia cara al suo fumantino consigliere.
“Hydroxychloroquine. Try it. If you’d like.”
COVID-19: Parla Kissinger
Come accade regolarmente ormai da decenni, quando l’America è alle prese con un problema globale c’è sempre qualcuno che aspetta l’editoriale di un uomo che ha guidato la superpotenza a stelle e strisce in uno dei momenti più delicati della sua storia.
Stiamo parlando ovviamente di Henry Kissinger, che ha scelto il Wall Street Journal per lanciare il suo messaggio agli Usa e al mondo attanagliati dal Covid-19.
Si intitola “La pandemia da Coronavirus cambierà per sempre l’ordine mondiale” il pezzo che l’ex Segretario di Stato e Consigliere per la Sicurezza Nazionale alla bellezza di 96 anni ha scritto per il quotidiano di Murdoch che lo ha pubblicato con il sottotitolo: “Gli Stati Uniti devono proteggere i propri cittadini mentre avviano la missione urgente di pianificare una nuova epoca”.
E non poteva che essere questo il taglio scelto dall’autore di un saggio tradotto in italiano con il titolo “Ordine mondiale”.
Raffinato studioso dell’arte diplomatica e cultore della storia dell’Europa alle prese con la ricostruzione dell’ordine continentale dopo i tumulti napoleonici, l’u0mo che accompagnò Richard Nixon in Cina ad incontrare per la prima volta Mao Zedong si dice convinto, nel suo editoriale, che “quando la pandemia sarà finita, in molti paesi si penserà che le istituzioni hanno fallito”.
Fallito perché, proprio rischia di accadere negli Usa, non solo non sono riuscite ad arrestare il contagio, ma stanno dissipando con comportamenti ai limiti dell’illogicità il bene più prezioso: “la fiducia nella capacità degli americani di autogovernarsi”.
Crisi della democrazia, dunque, ma anche crisi di un ordine globale sfidato da un fattore imprevisto che approfitta proprio della apertura strutturale del mondo contemporaneo trasformandola in una debolezza e, dunque, in una mina posta a fondamenta di tutto l’edificio.
Ecco perché Kissinger si dice convinto che, in parallelo alla lotta sanitaria, si deve lanciare urgentente una missione: favorire la “transizione all’ordine (mondiale) post-Coronavirus”.
Ignorare questo compito sarebbe esiziale e imperd0nabile, sott0linea Kissinger. Si innescherebbe infatti una “ritirata globale” – con ogni paese rinchiuso nel suo recinto a coltivare diffidenza se non rancore nei confronti dei vicini – che provocherebbe “la distruzione del contratto sociale sia a livello interno che internazionale”.
Ecco la conclusione dell’editoriale:
We went on from the Battle of the Bulge [1944-45] into a world of growing prosperity and enhanced human dignity. Now, we live an epochal period. The historic challenge for leaders is to manage the crisis while building the future. Failure could set the world on fire.
LA NATO HA ORA TRENTA MEMBRI, E LA RUSSIA ROSICA
Un destino beffardo chiamato emergenza Covid-19 ha voluto che una notizia particolarmente importante come l’ingresso ufficiale della Macedonia del Nord nella Nato, che raggiunge così quota 30 membri, fosse praticamente assente nella stampa mainstream.
Non lo stesso può dirsi per Twitter, dove le cerimonie dell’alzabandiera andate in scena simultaneamente la mattina del 30 marzo al quartier generale di Bruxelles e alla sede del comando alleato SHAPE di Mons sono state salutate con un florilegio di cinguetti partiti dagli account più appropriati:
Lo storico allargamento a Est è un importante colpo strategico messo a segno dalla Nato, in ottica di contenimento della Russia e della Cina nell’area dei Balcani e nell’Est Europa, senza contare la cerniera sulla bizzosa Turchia degli ultimi mesi
Se, come dicevamo, in Italia il silenzio è stato assordante – si segnala l’eccezione di un commento di “Affari Italiani” che sottolineava l’”importante colpo strategico messo a segno dalla Nato, in ottica di contenimento della Russia e della Cina nell’area dei Balcani e nell’Est Europa, senza contare la cerniera sulla bizzosa Turchia degli ultimi mesi” – non lo stesso può dirsi per il Paese che più di altri ha passato quella giornata masticando amaro.
Stiamo parlando ovviamente della Russia. La quale, se non ha potuto impedire l’irrobustimento di un’Alleanza che sopravvive anche in funzione del contenimento di Mosca, può compensare con le armi più presenti nei suoi arsenali (a parte quelle atomiche): propaganda e disinformazione.
Ecco dunque che, mentre in Belgio il vessillo della Macedonia del Nord cominciava a svettare a fianco di quello degli alti 29 alleati, la sempre zelante Sputnik pubblicava in più lingue – italiano incluso – un lungo e dettagliato artitolo affidandogli sin dal titolo – “Che cos’è la Macedonia del Nord e perché è entrata nella NATO?” – il compito di svelare gli autentici motivi che hanno spinto Macedonia e Usa al grande abbraccio.
Viene scartato anzitutto l’interesse economico dei biechi capitalisti americani (“quanto a PIL”, osserva Sputnik, “la Macedonia del Nord si colloc(a) al 128° posto nel mondo), per quanto ciò non abbia impedito, prosegue ancora la testata, l’ingresso nella Nato di una nazione come il Montenegro che “occupa la 144a posizione in classifica”.
Saranno forse i valorosi soldati macedoni ad aver sedotto gli Usa? Qui il redattore di Sputnik deve essersi concesso un goccio di vodka di troppo, avendo prima scritto che “la Macedonia del Nord non dispone di un esercito proprio”, per poi correggersi precisando che “un esercito comunque c’è: conta 13.000 unità di cui 5.000 sono riserve”.
Oltre che raccogliticce, le forze armate macedoni sono però anche scalcagnate, osserva malevola Sputnik: dispongono infatti di un budget che “per il 2019 è stato di circa 150 milioni di dollari dei quali poco più di 3,5 milioni sono stati destinati per le missioni di pace e per quelle umanitarie”.
Inoltre, “nonostante il parziale ammodernamento e la progressiva eliminazione dei vecchi equipaggiamenti, (l’esercito della Macedonia del Nord) fa ancora grande affidamento sui carri armati sovietici T-72, su alcuni veicoli trasporto truppe sovietici, nonché su artiglieria sempre di retaggio sovietico oppure made in Jugoslavia”.
Come se non bastasse, secondo il politologo e balcanista russo Alexander Safonov non vi sono nemmeno “infrastrutture di alcuna rilevanza per la NATO nella Macedonia del Nord”: un punto particolarmente inspiegabile per Safonov, di cui Sputnik riporta non a caso – che centri qualcosa quell’uomo baffuto che fa vedere i sorci verdi tanto alla Grecia e alla Nato e di nome fa Recep Tayyip? – la convinzione che “considerate le attuali condizioni geopolitiche, per l’Alleanza (fosse) molto più importante sviluppare la propria presenza militare in Grecia”.
Ma ecco che, dopo aver richiamato il pensiero di un fine politologo e balcanista, con un colpo di genio Sputnik lo contraddice nelle righe immediatamente successive richiamando un articolo della “rivista russa Kommersant” la quale, sulla base di non meglio precisate “fonti diplomatiche europee”, ha svelato il mistero da un milione di dollari: “poco dopo l’adesione della Macedonia del Nord alla NATO potrebbero nascere subito due basi militari della Nato, una a Krivolak e una a Kumanovo, al confine con la Serbia”.
Annotiamoci in particolare il nome di Krivolak perché, scrive Sputnik, “come ha dichiarato l’esperto militare Miroslav Lazanski nella sua rubrica sul quotidiano serbo Politika, questo è l’unico campo di addestramento in Europa dove è possibile effettuare esercitazioni con alcune tipologie di sostanze velenose. Lazanski ha (in particolare) ipotizzato che Krivolak potrebbe essere usato in futuro per esercitazioni con i velivoli statunitensi A-10 equipaggiati con munizioni all’uranio impoverito”.
Meno male, ci fa sapere Sputnik, che il “Dipartimento della Difesa della Macedonia del Nord ha negato tale ipotesi”.