Dopo sette anni e mezzo di scontri fratricidi, violenza settaria, uso di armi di distruzione di massa, jihadismo rampante, mezzo milione di morti, sei milioni di sfollati e altrettanti rifugiati scampati alla morte fuori dal Paese, e l’intervento – palese o mascherato – delle maggiori potenze regionali ed internazionali, la guerra civile siriana potrebbe essere prossima alla fine. Mentre scriviamo, il regime di Damasco e il suo alleato russo hanno cominciato a bombardare la provincia nord-occidentale di Idlib, l’ultima ridotta dei ribelli anti-Assad. Qui da anni le opposizioni si sono liberate del dominio del governo centrale; qui hanno trovato rifugio i miliziani e le loro famiglie dalle zone riconquistate dall’esercito regolare; qui le sigle islamiste e jihadiste, a partire da Hayat Tahrir al-Sham, affiliato ad al Qa’ida, hanno imposto il proprio potere sulle altre formazioni armate e sulla popolazione civile, le cui fila si sono ingrossate negli anni superando quota tre milioni. Tre milioni di persone che, a partire da oggi, sono nel mirino dell’artiglieria del regime e dei jet di Mosca, i cui colpi preludono ad un’avanzate delle truppe di terra volta a domare per sempre la ribellione e a porre fine al sogno, cominciato nella stagione delle primavere arabe del 2011, di rovesciare una feroce dittatura, risistemare gli equilibri etnici che hanno finora sfavorito la maggioranza sunnita a tutto vantaggio della minoranza alawita (sciita) della famiglia Assad, e instaurare un regime democratico e rispettoso dei diritti umani. Gli appelli e i moniti della comunità internazionale, Stati Uniti in testa, affinché l’offensiva non si materializzi, insieme alla sicura catastrofe umanitaria che ne seguirà, cadranno molto probabilmente nel vuoto. Forte del sostegno russo e iraniano, e galvanizzato dai successi conseguiti dalle sue armate negli ultimi dodici mesi, il presidente siriano Bashar al-Assad vuole chiudere una volta per tutte la partita con i suoi nemici. Con la scusa di voler debellare la minaccia terroristica posta dalla variopinta coalizione di militanti radicatisi a Idlib, il satrapo di Damasco non guarderà in faccia a nessuno. Nemmeno al milione di bambini che vivono in condizioni disperate a Idlib e che si troveranno molto presto schiacciati tra l’incudine del fuoco delle bombe e il martello dei confini turchi sigillati da anni. Una marea umana potrebbe presto riversarsi nella vicina Europa, dove l’accoglienza dei rifugiati siriani è tutt’altro che scontata date le vicissitudini politiche di buona parte dei Paesi del Vecchio Continente. A breve, i governi e le opinioni pubbliche europei saranno chiamati a fare i conti con un dilemma: aprire le porte e le braccia ad una massa di disgraziati in fuga dalla violenza o voltare le spalle ad una delle tragedie più acute del XXI secolo. Prepariamoci.
Siria, prepariamoci alla nuova emergenza
Pubblicato il 07/09/2018 - Il Friuli
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