Il summit dei Sette Grandi di Taormina del 26-27 luglio scorsi è come una montagna che ha partorito un topolino. Dal vertice tra i sette maggiori paesi industrializzati del mondo ci attendevamo infatti decisioni importanti sui temi che incalzano il pianeta, che non son pochi. E invece, lo spettacolo andato in scena nella suggestiva cittadella siciliana è stato deludente. Non c’è stato dossier infatti in cui non si sia registrata una suggestiva spaccatura. Il principale oggetto del contendere era uno dei principi cardine che hanno retto l’economia mondiale negli ultimi decenni: il libero mercato. E in questo caso, i G7 si sono dovuti arrendere alle posizioni ambigue degli Stati Uniti, che sotto Trump hanno avviato un corso economico che minaccia alle fondamenta l’ordine liberale commerciale che tanto benessere ha prodotto all’Occidente dal dopoguerra ad oggi. Non che Trump sia un nemico del libero mercato: semplicemente, ha impostato la sua campagna elettorale su un recupero delle posizioni perdute americane, e della sua antica grandezza economica, che non può che andare a scapito delle altre economie. Per questo motivo, è stato impossibile redigere un documento che tenesse conto di tutte le posizioni, compresa l’opposizione al protezionismo che rappresenta il principale spauracchio dei Grandi. Ma la frattura più vistosa si è prodotta su fronte del clima: gli Stati Uniti si sono infatti rifiutati di siglare un documento comune che confermasse gli impegni presi con il famoso vertice di Parigi del dicembre 2015, salutato come storico dalla maggior parte dei Paesi del mondo. Il motivo di questa recalcitranza era ufficialmente la necessità di rivedere la politica climatica della superpotenza nell’era post-Obama, producendone una di proprio conio. Peccato che, a pochi giorni dalla conclusione del vertice, gli Usa hanno solennemente annunciato il ritiro dall’accordo, gettando nella costernazione gli alleati che consideravano il patto di Parigi una sorta di punto di non ritorno. C’è una cosa però su cui si è registrata una convergenza tra i sette grandi: la lotta al terrorismo. L’emozione dell’attentato di poche ore prima alla Manchester House ha indotto i diplomatici alleati a siglare un documento in cui si promette di rafforzare le risorse da mettere in campo per contrastare il flagello del XXI secolo. Ma la verità è che sul fronte del terrorismo la cooperazione c’è già, anche se vi sono numerosi margini di miglioramento. Una risoluzione ONU del 2014 già obbligava ad esempio i paesi membri a collaborare per arginare il fenomeno dei foreign fighters. Si tratta ora di prendere gli strumenti che abbiamo e usarli, per evitare che scenari come l’attentato di Londra, accaduto il 4 giugno, si ripetano ancora e ancora.
I Sette Grandi d’accordo solo sulla lotta al terrorismo