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Se la politica si impossessa dei simboli della religione

Pubblicato il 27/12/2018 - Messaggero Veneto

Infierire su un presepe, imbrattandolo, è ovviamente un atto esecrabile. E sacrilego. Un gesto che oltretutto, essendo stato commesso il giorno della vigilia del Santo Natale, ha incrinato lo spirito di riconciliazione con cui siamo soliti celebrare la festa religiosa più attesa dell’anno. Ma il caso della scena della Natività ferita nell’aiuola di piazzetta del Pozzo era, a ben vedere, un delitto annunciato. Provocato, nella classica concatenazione di causa ed effetto, dalla scelta molto chiacchierata dell’amministrazione comunale di rimuovere da quel luogo due panchine da tempo adibite a luogo di aggregazione dei richiedenti asilo. Il messaggio, nemmeno tanto implicito, insito in quella decisione avventata, è che la coabitazione tra gli avventori extracomunitari ed una rappresentazione sacra fosse qualcosa da risparmiare agli ammiratori del presepe. Un accostamento da scongiurare con il più radicale e drammatico dei gesti. La mossa del Comune di Udine, a ben vedere, rispecchia ed esalta le lacerazioni createsi in seno alla nostra società sulla questione migranti. Viviamo tempi difficili, in cui lo spirito solidale che alberga nei cuori della migliore Italia è stato sfidato di petto dalla destra populista. Una forza politica che, avendo nella Lega la sua punta di lancia, si è imposta nel Paese a colpi di proclami nazionalistici e rivendicazioni identitarie. E ha eletto le tradizioni e i simboli religiosi a strumento primario di formazione del consenso. Un’operazione che appare funzionale ad un disegno: quello di dividere gli italiani “autentici” da quelli “abusivi”, da coloro cioè che, a causa della razza, della lingua e dell’appartenenza religiosa, non sono meritevoli di far parte del nostro popolo. Calato in questa cornice, il presepe e il suo personaggio chiave, Gesù bambino, scendono dal palcoscenico dei messaggi universali per assumere il ruolo di simbolo di parte. Di una parte, cioè, che si arrocca nelle proprie tradizioni rigettando le altre, e i rispettivi portatori, come se fossero intrusi sgraditi. Impedire ai migranti di sedersi accanto ad un presepe diventa, in questo senso, la più politica delle scelte. E una politica che si impossessa dei simboli religiosi, usandoli come clava con cui scacciare i diversi, è una politica che ci fa fare un bel passo indietro. Tornano di moda le guerre di religione, con tutto ciò che ne consegue in termini di odio e fanatismo. Uno spettacolo che, con il coraggioso messaggio di pace lanciato il 25 dicembre da Papa Francesco dal balcone della basilica di San Pietro, non ha proprio nulla a che fare.

Fontanini PIetroimmigrazioneMessaggero VenetoUdine
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