Possiamo immaginare la frustrazione dei dirigenti scolastici nel momento in cui il governo, su pressione di alcune regioni, rinvia l’apertura delle scuole superiori all’11 gennaio. Sull’esigenza di riprendere normalmente le attività didattiche in presenza, proclamata a lungo dalla ministra dell’Istruzione Azzolina e dallo stesso premier Conte, ha prevalso la preoccupazione dettata da indici di contagio ancora elevati e da una situazione in Europa apparentemente fuori controllo. Ancora una volta dunque il governo si vede costretto a tornare sui propri passi anche sulla spinta convergente di governatori che temono il peggio e non si fidano delle misure studiate fin qui come lo scaglionamento degli ingressi e i doppi turni. Ma se è già forte la delusione per un rinvio di soli quattro giorni, nel caso di regioni come il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, in cui bisognerà attendere addirittura fino al 31 gennaio per riaprire le aule, il disorientamento è massimo. Infatti la riorganizzazione faticosamente messa in piedi dai dirigenti in sinergia con i prefetti e con le società di trasporto pubblico è stata vanificata. Stando al governatore Massimiliano Fedriga si è trattato di una scelta obbligata, o meglio, per usare la sua espressione, “riaprire in un momento come questo, con la curva pandemica che non si abbassa, sarebbe stato un azzardo”. In effetti un atteggiamento prudenziale appare legittimo, per quanto sofferto, considerato che il mondo della scuola è particolarmente esposto: da una parte si sono registrati negli istituti del Fvg 2.860 contagi da settembre a dicembre, dall’altra c’è in agguato ora la variante inglese che, come hanno spiegato i virologi, è suscettibile di aggredire anche i minori. Infine, come ha ricordato di nuovo Fedriga, il problema non è tanto dentro le aule: “è prima e dopo. Ci sono assembramenti, c’è rilassatezza, i ragazzi vanno in giro in gruppo, parlano, fumano, si abbassano la mascherina. Sono gesti normali – osserva ancora il governatore – ma ora rappresentano un pericolo”. A distanza di oltre dieci mesi dall’inizio della pandemia, gli studenti delle scuole superiori e il diritto allo studio continuano ad essere dunque le vittime sacrificali dell’emergenza. È vero che la didattica a distanza rappresenta una straordinaria innovazione capace di mitigare le conseguenze delle chiusure, ma non si può dimenticare che la scuola è un ambiente di apprendimento e di socializzazione imprescindibile per un’equilibrata crescita dei giovani. È difficile racchiudere in uno schermo le interazioni su cui è strutturata l’esperienza formativa. Dietro l’angolo c’è il rischio di un impoverimento non solo delle competenze e dei saperi, ma anche di quel delicato tessuto socioculturale che vive dentro le aule scolastiche. I nostri giovani stanno pagando un prezzo non meno caro degli adulti alla pandemia; è pertanto urgente trovare il giusto equilibrio tra le misure di contenimento del contagio e il diritto di ogni allievo di ricevere una formazione adeguata e completa.
Scuole vittime sacrificali della pandemia
Pubblicato il 06/01/2021 - Il Piccolo
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