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Salah, Molenbeek e il jihad made in Europe

Pubblicato il 20/03/2016 - Formiche

È durata 127 giorni la latitanza di Salah Abdeslam, la primula rossa del jihad made in Europe. Quattro mesi che la dicono lunga sul rischio che incombe sull’Europa. La ricerca è terminata proprio laddove tutto era cominciato, in quel quartiere brussellese di Molenbeek che ormai è noto come la “Raqqa d’Europa”.

Centomila abitanti e 22 moschee, Molenbeek ha visto crescere, oltre a Salah, tre membri del plotone che ha aperto il fuoco nella capitale francese, compresa la mente, il foreign fighter Abdelhamid Abaaoud. Svariati atti terroristici che hanno insanguinato l’Europa negli ultimi anni, dalle bombe di Madrid dell’11 marzo 2004 all’attentato al museo ebraico di Bruxelles del 24 maggio 2014, hanno coinvolto persone legate a Molenbeek. Il quartiere è dunque l’epicentro di un fenomeno, il jihadismo autoctono, che non risparmia nessun paese europeo ma che ha trovato nel Belgio un ambiente particolarmente favorevole: dei musulmani qui residenti, quasi uno su mille ha scelto di dare man forte al califfo al-Baghdadi trasferendosi sul fronte siro-iracheno.

Molenbeek sorge non lontano dai palazzi in cui l’Unione Europea tiene i suoi consessi e ciò ci costringe a riflettere sulla coesistenza di due Europe: una che proprio venerdì cercava una soluzione al problema dei migranti che ci chiedono ospitalità e un’altra che vuole fare di questa ospitalità il cavallo di Troia del jihad. Di questa seconda eventualità, Abdeslam è l’emblema più appariscente.

Prima degli attentati di novembre, Abdeslam aveva attraversato più volte il Vecchio Continente per coordinarsi coi suoi complici, passando persino per l’Italia. Dopo la mattanza, accantonata l’idea di usare la sua cintura esplosiva, ha potuto lasciare Parigi grazie all’intervento di due amici sopraggiunti dal Belgio. In quei giorni convulsi, molti ritenevano che Abdeslam avesse ripiegato in Siria. Ma le attività investigative riveleranno presto che l’uomo più ricercato d’Europa aveva trovato rifugio proprio nel suo Belgio. Ipotesi che trova conferma a dicembre, quando le sue impronte vengono rinvenute in un appartamento di Schaerbeek, non lontano da Molenbeek. Impronte che affiorano anche dopo il blitz di martedì scorso in un’abitazione di un altro quartiere brussellese, Forest. Il cerchio che si stringe intorno a Salah non poteva che chiudersi a Molenbeek, in un palazzo di edilizia popolare a pochi passi dall’alloggio dei suoi familiari. Mentre lo arrestano, gli agenti vengono fatti oggetto di un lancio di oggetti dalle case circostanti. È l’ennesimo segnale del divario che separa chi lotta contro il terrorismo da chi lo copre.

La cattura di Abdeslam non rappresenta la fine di un incubo, ma un momento verità per il nostro continente, conscio di avere in casa un esercito invisibile che trama contro la sicurezza di tutti noi. Un esercito fatto di individui che hanno abbracciato una visione radicale dell’islam per la quale sono disposti ad uccidere ma anche di uomini e donne che appoggiano gli uni e l’altra. Sono i due volti della minaccia che grava sull’Europa e il campo di una battaglia che sarà lunga e complessa.

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