Da più parti si invoca il ritorno del nostro ambasciatore al Cairo. Lo ha fatto sul Corriere della Sera di ieri anche un diplomatico di calibro quale Antonio Zanardi Landi, sostenendo che è la via maestra per ottenere l’agognata verità su Giulio Regeni. È una proposta ragionevole? Per rispondere, occorre considerare quanto è avvenuto da quando l’Italia, quasi un anno fa, ha richiamato il proprio ambasciatore dall’Egitto. Le speranze riposte sulla cooperazione tra le procure del Cairo e di Roma si sono rivelate infondate: la ricerca della verità su quanto è successo tra gennaio e febbraio 2016 è ad un punto morto. L’Egitto nel frattempo si sta smarcando dall’isolamento con un nuovo attivismo in quell’area Mediterranea che riveste per noi interesse strategico. Il Paese dei faraoni è sempre più decisivo sugli equilibri della Libia, che nonostante gli sforzi della comunità internazionale fatica ad uscire dal caos. Il presidente egiziano al-Sisi è il principale sostenitore dell’uomo forte della Cirenaica, il generale Haftar, che non nasconde la propria opposizione al governo di accordo nazionale alla cui nascita l’Italia ha fornito un contributo sostanziale. Haftar gode inoltre del sostegno della Russia, che si è incuneata nella crisi libica recuperando il peso perduto con la caduta di Gheddafi. Lo stesso al-Sisi non ha resistito alla tentazione di gettarsi tra le braccia di Putin, che mira ad allargare l’influenza russa sul Mediterraneo. L’intromissione di Mosca non è necessariamente un male, se il Cremlino si adopererà per un’intesa tra Haftar e il premier al-Sarraj. Un obiettivo su cui sta lavorando anche al-Sisi: qualche settimana fa ha organizzato un incontro tra i due leader al Cairo, saltato all’ultimo minuto a causa della defezione di Haftar. La diplomazia italiana osserva con attenzione queste dinamiche anche perché sta perseguendo il medesimo obiettivo. Risolvere la questione libica è per l’Italia una priorità, alla luce del persistente flusso migratorio che origina da quel Paese, di una minaccia jihadista ancora persistente e dei nostri interessi energetici. L’Italia ha però bisogno di sponde locali, e l’Egitto è il candidato migliore per svolgere questo ruolo. Rimandare il nostro ambasciatore al Cairo, oltre a rispondere a questa esigenza, consentirebbe di riagganciare un Paese che rappresenta un punto di riferimento dell’intero mondo arabo. Nonostante la deriva autoritaria, l’Egitto è impegnato nella promozione di un islam mondato dalle dottrine più intransigenti. Al-Sisi si è distinto da subito per la richiesta, rivolta alle autorità religiose del Paese, di rimodellare l’islam in funzione di una sua compatibilità con il mondo moderno. Anche per questo motivo è auspicabile un’interlocuzione ai massimi livelli con l’Egitto. Non era questo d’altronde a motivare il povero Giulio? Regeni è diventato il simbolo della possibilità di creare un ponte con il mondo islamico. L’Italia farebbe bene a seguirne le orme, nell’auspicio che ripristinando i rapporti con il Paese che si è portato via la vita di Giulio possiamo trarre non pochi benefici. Non ultima, la verità sulla tragica fine del ricercatore di Fiumicello.
Riportare l’ambasciatore al Cairo: un omaggio al lavoro di Giulio
Pubblicato il 07/03/2017 - Messaggero Veneto
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