Uno spettro si aggira per l’Italia: quello della manovra gialloverde. La legge di bilancio votata dalla Camera dei Deputati è infatti, nella definizione delle opposizioni, una “scatola vuota”. Non contiene i provvedimenti più attesi, reddito di cittadinanza e controriforma delle pensioni, rimasti appesi al palo della trattativa con Bruxelles. Un negoziato perseguito ufficialmente con convinzione, ma sospeso in realtà nella nebbia delle contraddizioni dei due azionisti di maggioranza dell’esecutivo. Che un giorno dichiarano di non essere attaccati ai “numerini” dei saldi, mentre l’altro rivendicano ad alta voce l’intoccabilità delle misure bandiera della manovra del popolo. Nella morsa, intanto, rimane stritolato il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Colui, cioè, che sin dalla gestazione della manovra aveva predicato l’invalicabilità della soglia dell’1,9% di deficit, al fine di non provocare l’ira della Commissione Europea e agitare le acque dei mercati finanziari. Eventualità puntualmente verificatesi e che ora, come una spada di Damocle, pendono su un Paese entrato in stagnazione, con investimenti e consumi bloccati e le aspettative sul futuro mozzate da un governo bloccato nell’eterno presente di una campagna elettorale permanente. Questa settimana il primo ministro Giuseppe Conte si confronterà a tu per tu con il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker. Sarà l’ultima spiaggia per un governo che deve evitare lo scoglio di una procedura di infrazione che minaccia di condannare le finanze italiane al commissariamento. Riuscirà, l’avvocato degli italiani, a persuadere il suo interlocutore a concederci in extremis un granello di fiducia? Le carte che Conte scodellerà di fronte a Juncker saranno in grado di convincerlo che l’Italia non intende derogare ai suoi impegni internazionali né violare quel Patto di Stabilità e Crescita considerato da tutti l’architrave della sostenibilità della moneta unica? È lecito dubitarne. E non solo perché leghisti e stellati non intendono rinunciare alle loro promesse elettorali condite di abbondante spesa pubblica. In realtà, c’è del metodo in questa follia. Anche se ritoccati al ribasso, i miliardi stanziati per reddito di cittadinanza e quota cento sono, infatti, l’arma con cui i due partiti di maggioranza contano di sbancare alle Europee del prossimo maggio. E lo scontro con l’Europa matrigna e sanguisuga è, per loro, il combustibile con cui volare nel consenso popolare. La scommessa grilloleghista sta tutta qui: nella sfida ad un organismo, l’Unione Europea, che pretende di tarpare le ali ai sovranisti. Agli occhi di Salvini e Di Maio, la procedura d’infrazione non è il flagello cui risparmiatori e imprese guardano con timore. È, semmai, il volano con cui far decollare la rivoluzione. Che, come ogni rivoluzione che si rispetti, mieterà le sue vittime. La prima delle quali porta il nome di Giovanni Tria.
Procedura d’infrazione, il volano grilloleghista
Pubblicato il 10/12/2018 - Messaggero Veneto
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