La luna di miele tra il Vaticano e la Repubblica popolare cinese ha subito una drastica battuta d’arresto. Colpa di un saggio di prossima uscita intitolato “Ritorniamo a sognare” scritto a quattro mani da Papa Francesco e dal suo biografo Austen Ivereigh. All’interno del libro, infatti, il Pontefice fa per la prima volta riferimento ai “poveri Uiguri” definendoli “perseguitati”. Così facendo, Bergoglio ha toccato uno dei nervi scoperti della diplomazia cinese, che sul trattamento riservato alla minoranza musulmana della provincia occidentale dello Xinjiang è da tempo nell’occhio del ciclone. Non si contano più i report di governi, organizzazioni internazionali e Ong, che denunciano la sistematica campagna di repressione degli Uiguri sui loro territori. Col pretesto della lotta all’estremismo islamico, Pechino ha recluso oltre un milione di persone in campi di rieducazione che molti commentatori comparano ai gulag del XX secolo. L’obiettivo dell’internamento in queste strutture è di praticare una sorta di lavaggio del cervello nei musulmani costringendoli a rinnegare i principi della loro religione e a sostituirli con i dettami del buon cittadino della Cina comunista. Da quei territori, dove i giornalisti non hanno accesso, sono giunte testimonianze inquietanti di separazione forzata di minori dai loro genitori e di tentativi di forzare i musulmani a infrangere i loro precetti. Siamo quindi di fronte a una sorta di ‘genocidio culturale’ che ricorda per certi versi ciò che la Cina praticò s suo tempo nel Tibet. Attraverso questo esplicito riferimento agli Uiguri, pur senza entrare nel merito della loro condizione, il Pontefice ha portato tutto il peso della Chiesa dalla parte di quanti criticano le pratiche repressive del regime di Xi Jinping. Ci si può chiedere come mai questo critica seppur in sordina, giunga in questo momento, dopo che il Vaticano e la Cina avevano appena rinnovato l’accordo sulle modalità della nomina dei vescovi. In precedenza Papa Francesco aveva trattato con estrema prudenza le questioni interne cinesi: fece molto scalpore, ad esempio, un Angelus di luglio in cui il Papa non lesse un paragrafo del testo scritto che esprimeva “preoccupazione” per la situazione di Hong Kong. A ottobre ci fu poi il clamoroso rifiuto da parte di Francesco di ricevere in Vaticano il segretario di stato Usa Mike Pompeo, che aveva appena espresso profonde critiche nei confronti della Chiesa per l’eccessiva condiscendenza con la Cina. Ma queste posizioni del Papa hanno provocato un profondo malumore in seno a parte delle gerarchie ecclesiastiche, deluse dal compromesso al ribasso con la Cina. L’ultima sortita di Papa Francesco potrebbe dunque rappresentare un segnale rivolto alla corrente anticinese della Curia per far comprendere che i diritti umani non ammettono sconti. Ma il segnale è soprattutto rivolto a un’opinione pubblica internazionale ancora perplessa per il silenzio della Chiesa su uno dei crimini di massa più odiosi della storia contemporanea.
“Perseguitati”. Se Papa Francesco rompe il silenzio sugli Uiguri
Pubblicato il 29/11/2020 - Il Piccolo
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