Che cosa è successo davvero a Imran Khan, ex primo ministro del Pakistan caduto dopo una grave crisi costituzionale risoltasi con un voto di sfiducia che lui ritiene frutto di una manovra orchestrata da Washington per via delle sue liasons dangereuses con Mosca e Pechino?
NUOVO GOVERNO IN PAKISTAN
Quando è stato chiaro che il Parlamento intendeva sfiduciarlo, dopo che una dozzina di parlamentari del suo partito (PTI) aveva cambiato casacca andando a rinfoltire i ranghi delle opposizioni, Khan ha tentato l’azzardo provando a sciogliere l’Assemblea nazionale per andare a nuove elezioni dove lui contava di giocare le sue consuete carte di populista navigato.
Ma il tentativo è stato alla fine sventato da un clamoroso pronunciamento della Corte Suprema, che, dichiarato incostituzionale lo scioglimento voluto da Khan, ha ripristinato l’Assemblea nelle sue piene funzioni e dato indicazioni a quest’ultima di procedere con il voto di sfiducia cui il primo ministro cercava di sfuggire.
Il 10 aprile, così, il Parlamento ha sfiduciato Khan, in un passaggio che è stato accompagnato dalle grida di esultanza dei sostenitori delle opposizioni e dai disordini dei supporter che Khan aveva immediatamente mobilitato.
Con grande scorno dell’ormai ex premier, la camera ha quindi votato il giorno dopo la fiducia, quale suo successore, al leader dell’opposizione Shahbaz Sharif, fratello minore del suo eterno rivale Nawaz Sharif, che governerà il Paese fino alle elezioni previste l’anno prossimo.
L’ASSERITA COSPIRAZIONE
Quello che appare a tutta vista come un ribaltone frutto di una classica manovra parlamentare è stato presentato da Khan, a forza di raduni di massa convocati dopo la sua caduta, come una gigantesca cospirazione internazionale ai danni di un leader che aveva osato sfidare il potente establishment militare e mettere in discussione gli allineamenti internazionali del Pakistan.
Sin dai giorni in cui incombeva su di lui il voto di sfiducia, l’allora primo ministro cominciò ad accreditare la versione di un complotto riconducibile da un lato alla perdita del sostegno dei militari e dall’altro al non gradimento degli Usa nei suoi confronti.
L’ABBRACCIO CON PUTIN
L’America, in particolare, non avrebbe digerito l’azzardata visita compiuta da Khan a Mosca – a dispetto del parere contrario dei militari e del suo stesso ministro degli Esteri – il giorno prima dell’inizio delle operazioni in Ucraina.
Fatale sarebbe stata anche l’enfasi con cui Khan descrisse il proprio stato d’animo nel mettere piede sul suolo russo, specialmente quando, parlando dal tappeto rosso a chi gli veniva incontro, non nascose la propria “eccitazione”.
Con Putin d’altra parte c’erano vari affari da rifinire, compreso l’accordo per la realizzazione del gasdotto che, secondo le intenzioni di Mosca, dovrebbe collegare Karachi e Kasur nei pressi di Lahore.
IL RUOLO DEI MILITARI NELLA ‘DEMOCRAZIA IBRIDA’ DEL PAKISTAN
Determinante sarebbe stata, dunque, la recisione del filo che fino a pochi mesi prima aveva unito in un’alleanza inossidabile Khan e i militari, fermi nella volontà di perseguire relazioni proficue con Washington.
La scommessa fatta dall’esercito su Khan sin dai tempi della sua vittoriosa campagna elettorale del 2018 si è arenata mettendo in crisi la fragile ‘democrazia ibrida’ del Pakistan, dove i militari hanno sempre l’ultima parola.
Sebbene dietro al logoramento di Khan vi fosse anche la preoccupazione per la cattiva gestione dell’economia messa a dura prova dal Covid, dal rincaro delle materie prime da un’inflazione galoppante, il premier avrebbe pagato una serie di scelte sbagliate agli occhi dei suoi protettori.
IL NODO ISI
Come ha osservato su Foreign Policy Abdul Basit, ricercatore alla S. Rajaratnam School of International Studies di Singapore, l’inciampo avvenne quando, nell’ottobre del 2021, arrivò il momento della nomina del nuovo capo del potente servizio di intelligence ISI.
“La sua riluttanza – scrive Basit – a nominare il generale Nadeem Anjum come nuovo direttore dell’intelligence e a rimuovere l’allora direttore ad interim e suo fedelissimo generale Faiz Hameed assestò il colpo finale. Khan sperava di mantenere Hameed al suo posto e di promuoverlo a capo dell’esercito alla fine del mandato del generale Qamar Javed Bajwa … Malgrado avesse poi fatto un passo indietro e nominato Anjum a capo dei servizi, il danno era fatto”.
SFIDA A CAPO DELL’ESERCITO
Inviso ormai al potente capo dell’esercito Bajwa, Khan ha fatto l’ultimo passo verso il baratro quando è accorso da Putin mentre il mondo intero guardava con inquietudine a ciò che sarebbe successo in Europa appena il giorno dopo.
La sfida tra premier e Bajwa diventò verbalmente incandescente, con il primo che si rifiutava di condannare l’invasione e si allineava alla posizione neutrale della Cina e il secondo che, intervenendo a una conferenza sulla sicurezza internazionale in piena crisi costituzionale, si spinse al punto di sostenere che “migliaia di persone … uccise, milioni di rifugiati e metà dell’Ucraina distrutta … sono fatti su cui non si può sorvolare”.
BILANCIO DEL GOVERNO DI KAHN
In un Paese in cui nessun primo ministro ha completato un intero mandato, rimanere al governo per quasi quattro anni non può proprio essere definito un insuccesso.
Khan non paga però solo la sua imprudenza e certe spericolate posizioni che lo hanno spinto sino a negare la persecuzione degli uiguri dello Xinjiang, a ricordare Osama Bin Laden come un “martire” o a farsi paladino strumentalmente della causa palestinese e della lotta all’islamofobia.
La vera sentenza di condanna, per lui, è arrivata dalla vita quotidiana dei cittadini impoveriti dai rincari e dall’inflazione. L’inevitabile calo del suo indice di gradimento ha fatto il resto, creando i presupposti per il ribaltone. All’italiana.