Nel bel mezzo di una pandemia globale non potevamo farci mancare una guerra culturale globale. È quella che è in corso tra la Francia delle vignette corsare su Maometto di Charlie Hebdo e una parte significativa del mondo islamico che sta reagendo alla loro pubblicazione e alla strenua difesa che ne ha fatto il presidente francese Emanuel Macron con manifestazioni, boicottaggi, convocazioni di ambasciatori e dichiarazioni infuocate da parte di numerose cancellerie. La sequenza dei fatti si è sviluppata con una velocità impressionante. Tutto ha inizio quando a settembre si aprono i processi dei complici dell’attentato del gennaio 2015 alla redazione di Charlie Hebdo, finita nel mirino dei terroristi islamici per aver pubblicato vignette blasfeme sul profeta. Per l’occasione la rivista ha deciso di ripubblicare dodici caricature di Maometto risalenti al 2005 e che già allora avevano innescato una vera e propria crisi internazionale. Non possiamo trascurare un altro grave sviluppo: la decapitazione dell’insegnante di storia Paty, reo di aver mostrato quelle immagini ai suoi allievi. E c’è un terzo elemento fondamentale: la rivendicazione fatta da Macron, durante la veglia di commemorazione del docente, del diritto a pubblicare quelle vignette, elevate a simbolo di una irrinunciabile libertà di espressione. Tanto è bastato per scatenare lo scontro, che ha assunto forme sia spontanee che organizzate. La gente è scesa in piazza dalla Libia al Marocco, dal Bangladesh fino alle terre martoriate della Siria incendiano effigi di Macron e invocando il boicottaggio delle merci francesi che nel frattempo già cominciavano a scomparire da alcuni scaffali. E ci sono state poi, ovviamente, le reazioni politiche, subito monopolizzate dal presidente turco Erdogan, che aveva già più di un motivo di attrito con Macron e che ha sfruttato l’occasione per esasperare i toni. Nell’arco di pochi giorni, il sultano di Ankara è passato dal mettere in dubbio le facoltà mentali del suo collega francese al sostenere che i musulmani in Europa sono oggetto di linciaggio come gli ebrei ottant’anni fa. A Erdogan si sono prontamente affiancati altri governi islamici usando toni meno aggressivi ma pur sempre decisi. La coda insanguinata di questa sequenza l’abbiamo vista in scena ieri a Nizza, teatro di un attacco terroristico che è probabilmente frutto di questo clima avvelenato. Torna dunque in primo piano il dibattito sui limiti alla libertà di espressione e sull’esistenza di posizioni intolleranti che armano la mano dei fondamentalisti. Sappiamo da una parte che non tutti condividono la battaglia intransigente di Charlie Hebdo ma dall’altra non possiamo fare a meno di constatare che questi incidenti avvengono in un momento in cui le relazioni tra Parigi e Ankara sono già al minimo storico. Per evitare che questa inimicizia tra i vertici si ripercuota sul sentimento popolare alimentando ulteriori escalation, urge ricostruire un ponte tra Ankara e l’Europa.