Una settimana fa il presidente del consiglio Matteo Renzi ha annunciato la via italiana alla lotta al terrorismo, condensandola in uno slogan: «per ogni euro in più investito in sicurezza, ci deve essere un euro in più investito in cultura».
Lungi dall’essere solo securitaria, la risposta alla strage di Parigi sarà dunque imperniata sul soft power dell’Italia: il fascino della sua cultura millenaria. Si va così alla radice del problema che assilla in questo momento tutti i paesi europei: l’esistenza, all’interno delle minoranze musulmane, di frange che si identificano nella missione eversiva del califfo piuttosto che nella società di accoglienza. La sfida ora è trovare gli strumenti con cui incentivare gli immigrati di prima come di seconda generazione a fare propria, per dirla ancora con Renzi, «la nostra identità, fatta di pluralismo e di dialogo, di tolleranza e di confronto, di radici e valori».
La prima istituzione deputata a tale compito non può che essere la scuola. I preziosi giacimenti della nostra cultura devono essere resi accessibili con maggiore incisività agli allievi di classi ormai multietniche. Perché ciò si realizzi non si può però non affrontare anche l’altro versante della sfida: la tendenza, da parte di alcuni, a relativizzare l’apporto civilizzatore dell’Italia. Non possiamo pretendere che quanti hanno origini straniere diventino parte integrante del nostro paese se quest’ultimo è abitato da persone che non hanno l’orgoglio dell’appartenenza. Quando, in nome della laicità e di un malinteso rispetto del prossimo, si cancellano le radici e i simboli dell’italianità, l’immedesimazione degli immigrati non può che essere compromessa.
Il dirigente che spazza via con un tratto di penna il Natale dal paesaggio scolastico depotenzia fatalmente il ruolo dell’istituzione che dovrebbe guidare. Ruolo che va al di là dei programmi didattici da impartire agli allievi. La missione della scuola è anche la creazione di un legame sociale in chi la frequenta. In una società permeata dall’immigrazione, in cui l’estrazione culturale dei suoi membri è quanto mai composita, questa missione resta affidata ai pochi ambiti, come la scuola, dove si possono attivare percorsi di condivisione tra i cittadini.
Fare sì che gli alunni partecipino dello spirito natalizio non implica affatto una volontà di proselitismo. Festeggiare la principale solennità cristiana significa rievocare una lunga storia i cui principali artefici hanno tratto ispirazione dalla religione che ha in questo paese il suo fulcro e la sua santa sede.
L’integrazione non potrà mai prodursi se chi ha il compito di promuoverla non ha un’identità da proporre come modello. Di questa identità gli immigrati non sono costretti a fare propri tutti i riferimenti. Possono attingervi selettivamente, conservando quei tratti della rispettiva cultura che ritengono fondamentali. Ma senza basi comuni, la convivenza non può funzionare.
Ad ogni simbolo che rimuoviamo di nostra spontanea iniziativa, offriamo una recluta in più ai movimenti che sognano di distruggere la nostra civiltà.