Lo psicodramma di questa regione generato dalla presenza dei profughi ha raggiunto in questi giorni il suo acme, accumulando contraddizione su contraddizione. A Grado, il Consiglio comunale convocato anche per discutere dell’arrivo di diciotto migranti ha provocato un pandemonio, con poliziotti, carabinieri e finanzieri a presidiare l’aula e i consiglieri dell’opposizione che sobillavano la folla inviperita dalla decisione del sindaco Dario Raugna di onorare gli obblighi, giuridici prima ancora che morali, dell’accoglienza. A Udine, due giorni dopo, si accendevano i riflettori e gli animi sul bando monstre – per un valore di oltre 22 milioni di euro – della Prefettura del capoluogo per la fornitura di beni e servizi relativi al funzionamento del Centro di accoglienza per richiedenti asilo allestito in due ex caserme per una ricettività di 550 posti. Intanto, a Gorizia, il sindaco Rodolfo Ziberna rinnovava la sua denuncia per la situazione che si registra da tempo all’interno della Galleria Bombi, dove secondo il primo cittadino dormono all’addiaccio ottanta richiedenti asilo esclusi da qualsiasi forma di accoglienza. Pur diversi tra loro, i tre casi evidenziano un problema comune che fa da sfondo alla discussione che agita il sonno degli amministratori prima ancora che dei cittadini: l’inesistenza di una strategia condivisa sulle modalità con cui fare fronte all’emergenza recata dalla presenza di migliaia di disperati giunti da Paesi in pieno travaglio come Afghanistan e Pakistan. Una via d’uscita in verità ci sarebbe ed è quella che è stata ribadita in queste ore da Mario Morcone, Capo di gabinetto del ministro dell’Interno.“L’accordo firmato con l’Anci parla chiaro”, sottolinea Morcone, “e prevede la distribuzione di una quota di migranti pari a 3 persone ogni mille abitanti per ogni Comune. Per riuscire a mantenere valida questa soglia, però, abbiamo bisogno della collaborazione di tutte le amministrazioni locali (…) spiegando nei dettagli come la presenza di piccoli gruppi sia facilmente gestibile e integrabile con la popolazione residente”. Questa, in teoria, la linea. Che traspare anche dalle parole del prefetto di Trieste Annapaola Porzio. “Lo sforzo che in tutta Italia stiamo facendo”, dice, “è quello di far capire che se ciascun Comune accoglie un numero esiguo di persone, corrispondente al piano ministeriale, il peso non ricade tutto sulle città più grosse”. Si chiama accoglienza diffusa e sarebbe, in linea di principio, l’unica ricetta per superare l’indecoroso scaricabarile di questi ultimi mesi e addivenire ad una soluzione sostenibile di un problema che grava sulle spalle di un intero Paese. Peccato, però, che quando si tratta di passare dalle parole (e agli accordi) ai fatti, la situazione trascenda in quattro e quattr’otto. Come è successo a Grado. Dove l’amministrazione comunale, per il solo fatto di aver aperto le porte a diciotto richiedenti asilo, si è vista accusare di “attentato alla democrazia” – parole del consigliere forzista Roberto Marin – e di “dichiarare guerra al paese”. Bene, posto che destinare una quota minima di profughi ad ogni singolo comune sia scelta inaccettabile, che dire dell’unica alternativa disponibile – tertium non datur, a meno che non si opti per l’espulsione coatta, che ci esporrebbe immediatamente al fuoco della comunità internazionale – vale a dire i maxi-centri di accoglienza? Basta vedere le fibrillazioni scaturite a Udine dopo la diffusione della notizia del bando per le ex caserme per rendersi conto che no, neanche questo va bene. Il segretario del Carroccio in Fvg, Massimiliano Fedriga, denuncia infatti la “bomba sociale pronta a esplodere” rappresentata da quelle “centinaia e centinaia di presunti profughi che da anni sono liberi di entrare e uscire dalla caserma e fare il bello e il cattivo tempo”. Ci pensa l’Assessore al bilancio Cinzia del Torre, che parla di “schiaffo alla città”, a palesare l’insoddisfazione anche del Comune guidato da Furio Honsell, che dell’accoglienza è paladino. Accoglienza sì, accoglienza no. Diffusa no, concentrata nemmeno. In mezzo a questa diatriba stanno loro, i profughi. Che quasi quasi rimpiangono i talebani.
L’accoglienza ‘impossibile’
Pubblicato il 23/10/2017 - Il Piccolo
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