La notizia è da prendere con le pinze, tanto che è snobbata dai media statunitensi e trova spazio solo presso alcune fonti europee. Il leader della rete terroristica Al Qa’ida, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri, starebbe contemplando lo scioglimento dell’organizzazione che egli stesso fondò in Afghanistan nel lontano 1988 insieme allo scomparso Osama bin Laden. Lo riferisce il quotidiano londinese in lingua araba “Al Hayat”, che riporta la testimonianza di un ex qaedista, Ayman al Din, oggi collaboratore dei servizi segreti britannici. Che sia vera o meno, la clamorosa decisione di Zawahiri discenderebbe non tanto da una valutazione sulle forze residue del network, comunque surclassato dall’appeal di cui gode oggi la sua ex costola, lo Stato islamico, quanto agli sviluppi recenti sul fronte siriano. Pochi giorni fa, il franchiser locale di al’Qaida, il fronte al Nusra, insieme ad altre sigle riunite nella coalizione jihadista “Jaysh al Fateh” (“Esercito di Conquista”) ha sottratto al regime di Bashar al-Assad il controllo di Idlib, capitale provinciale che sorge nel Nord-ovest della Siria, a 30 chilometri dal confine con la Turchia. Il leader di al Nusra, Abu Muhammad al Julani, ha subito diffuso un messaggio in cui invita gli alleati a esercitare congiuntamente, secondo i dettami coranici, il governo di quello che sarebbe a tutti gli effetti un Emirato islamico. L’appello di Julani è stato preso sul serio. Riecheggia infatti nell’analogo messaggio di Abu Jaber, capo di un’altra fazione che ha partecipato all’impresa di Idlib. Questi ha spiegato che i conquistatori devono ora provvedere all’amministrazione del territorio da essi controllato e a garantire il benessere della popolazione. Un obiettivo, ha sottolineato Jaber, che si può raggiungere solo se i vari gruppi “abbandonano i loro interessi di parte” e pongono al di sopra di tutto “quello dell’Islam e del popolo sofferente”. Se l’intento dei gruppi jihadisti è quello di dare corpo ad una realtà statuale non dissimile a quella creata poco più in là dall’ISIS, l’ingerenza del gruppo dirigente qaedista installato a migliaia di chilometri più ad est, nei recessi delle regioni tribali del Pakistan, non è ovviamente più gradita. E qui si poggiano i presunti calcoli di Zawahiri, resosi conto che la missione originaria di al Qa’ida, quella di essere motore e stanza dei bottoni del jihad globale, è venuta meno in un’era in cui la causa della guerra santa si è incarnata negli straordinari successi di Abu Bakr al-Baghdadi e in cui svariati movimenti in tutto il mondo si affrettano a dichiarargli fedeltà. La notizia della cessata attività di al Qa’ida potrà insomma rivelarsi fasulla, ma ciò non toglie che il testimone del jihad sembra essere passato di mano. È evidente a questo punto che l’emirato di Idlib, liberatosi dall’abbraccio di Zawahiri, dovrà presto fare i conti con l’ingombrante vicino. La nuova entità non potrà d’altronde che ispirarsi al Califfato, replicandone l’impianto amministrativo e giuridico comprensivo di applicazione letterale della shari’a, la legge islamica. Poiché inoltre l’obiettivo intermedio di entrambi rimane lo stesso, la caduta del regime “apostata” dell’odiato Assad, è prevedibile che Raqqa e Idlib prenderanno in considerazione l’ipotesi di un’alleanza strategica. Quanto al traguardo finale, la realizzazione dell’utopia di uno stato retto da un principe islamico e governato secondo i principi della rivelazione maomettana, spingerà assai probabilmente i due soggetti a studiare l’ipotesi di una fusione. Un passaggio che non sarà privo di attriti, frutto di inevitabili e contrastanti ambizioni di leadership, ma che la comune ideologia potrebbe agevolare. Quale che sia lo scenario che si materializzerà, le notizie per la regione mediorientale sono, come di consueto, tragiche. Gli ideali della primavera araba, che in Siria hanno generato la reazione violenta del regime e un conflitto che secondo i calcoli dell’ONU ha abbondantemente superato le duecentomila vittime, sono stati sepolti dall’affermazione manu militari di attori che considerano eresie la democrazia e i diritti umani. Le forze appoggiate dall’Occidente sono state sopraffatte dalla furia estremistica dell’ISIS che proprio in questi giorni ha messo piede alle porte di Damasco, con l’evidente obiettivo di accelerarne la caduta. La prospettiva che altre porzioni del territorio siriano, o la Siria tout court, finiscano sotto il controllo di un’alleanza tra i sunniti dello Stato islamico e quelli della coalizione di cui fa parte al Nusra non può che far rabbrividire i paesi “moderati” dell’area che Obama ha federato nel nome della guerra al fondamentalismo stragista di al-Baghdadi. Inoltre, tale prospettiva spingerà l’Iran sciita ad incrementare il proprio sforzo nell’area, volto non tanto a far rientrare nella bottiglia il genio islamista sunnita, quanto a rafforzare la propria campagna egemonica nel Medio Oriente, di cui il caos yemenita è uno dei tanti segnali. Se letto sotto questa luce, l’accordo raggiunto poche ore fa da Iran e Occidente sulla questione nucleare si configura come una beffa per tutti coloro, a partire dall’Arabia Saudita, che nell’invadenza del regime degli ayatollah vedono una minaccia non meno grave dell’imperialismo califfale. Che tramonti o meno la stella di al Qa’ida, il futuro di questa regione appare foriero di nuovi conflitti e spargimenti di sangue.
La presunta resa di al Qaida non è una buona notizia