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La pandemia scandita dalle fake news

Pubblicato il 21/02/2021 - Messaggero Veneto

La  pandemia da Covid-19 è stata scandita da un massiccio flusso di fake news, la più popolare delle quali è stata la teoria cospirativa secondo cui il virus sarebbe stato creato appositamente in laboratorio. Adesso un’indagine condotta dall’Associated Press in collaborazione con il Digital Forensic Research Lab dell’Atlantic Council ne ha ricostruito nel dettaglio la genesi e l’evoluzione passando al setaccio milioni di post e articoli diffusi sui social media e in particolare su Twitter, Facebook, VK, Weibo, WeChat, YouTube, Telegram e altre piattaforme. Ne è emerso che, lungi dall’essere solo un fenomeno spontaneo partito dal basso, la disinformazione è stata veicolata anche da personalità politiche e diplomatiche interessate a delegittimare i loro antagonisti. Secondo quanto ricostruito dalla ricerca, intitolata Anatomia di una cospirazione, l’innesco è avvenuto agli albori del contagio, il 26 gennaio 2020, giorno in cui un utente dell’app cinese Kuaishou ha postato un video in cui si sosteneva che il virus sarebbe stato in realtà un’arma biologica creata dagli americani. Nel frattempo negli Usa prendeva corpo una campagna denigratoria finalizzata a mettere in cattiva luce la Cina, con il presidente Trump e numerosi esponenti del Partito repubblicano attivi nell’accreditare una teoria cospirativa gemella per la quale il Covid, ribattezzato il ”virus cinese”, era stato in qualche modo manipolato da scienziati cinesi. L’autorevolezza dei sostenitori della nuova teoria ne favorì la diffusione capillare negli account social pro-Trump e del movimento QAnon. Sconcertata per il modo in cui il teorema avesse cambiato di segno e messo la Cina nel centro del mirino, Pechino decise di non rimanere con le mani in mano e fece pubblicare il 22 febbraio dal People’s Daily un articolo che dava voce alla tesi contrapposta che fossero stati i militari Usa a portare il Covid in Cina. E poiché il People’s Daily ha rapporti di collaborazione con testate di tutto il mondo, ecco che la notizia di una responsabilità americana veniva pubblicata tale e quale in giornali come l’Helsinki Times e il New Zealand Herald. Per assicurarsi inoltre la massima diffusione, Pechino non ebbe scrupoli ad appoggiarsi alla rete dei proxy russi specializzati in strategie di disinformazione. A questo punto l’indagine dell’Associated Press torna negli Usa e introduce la figura di Francis Boyle, docente nell’Università dell’Illinois, che coniò la versione più popolare della fake news secondo cui il Covid era un’arma biologica creata dai cinesi in un laboratorio di Wuhan. Nelle settimane successive Boyle rivisitò più volte la sua supposizione spingendosi a sostenere che gli scienziati cinesi non avessero prodotto l’arma da soli ma l’avessero prelevata da un laboratorio della Carolina del Nord. Quando poi Boyle viene intervistato dal principe dei cospirazionisti americani, Alex Jones di Infowars, la circolazione della sua teoria conobbe una rapida accelerazione e una diffusione a livello mondiale. Per tutta risposta gli utenti cinesi di WeChat presero a discutere l’ipotesi che fosse stato l’esercito americano a creare il Sars Cov-2 in un laboratorio di Fort Detrick nel Maryland e che l’avessero rilasciato in Cina durante i Military World Games tenutisi a Wuhan nell’ottobre precedente. Ê a questo punto che entra in scena uno dei protagonisti di questa storia, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian, che dal suo seguitissimo account Twitter scatenava quello che può essere considerato come il primo esperimento di disinformazione digitale globale sponsorizzato da uno Stato. “Potrebbe essere stato l’esercito americano a portate l’epidemia a Wuhan – scriveva Zhao – Siate trasparenti! Rendete pubblici i vostri dati! Gli Stati Uniti ci devono una spiegazione”. L’offensiva raccolse i suoi frutti: l’AP stima che i contenuti fatti circolare da Zhao abbiano raggiunto complessivamente 275 milioni di utenti. Inoltre, nonostante Twitter sia bandito nel Paese, si calcola che gli hashtag legati ai tweet di Zhao siano stati visti 314 milioni di volte sulla piattaforma Weibo. Si chiude qui la ricostruzione dell’AP e dell’Atlantic Council, un lavoro pregevole che mostra come anche a livelli istituzionali non si esiti a strumentalizzare una tragedia per fini politici. Rimbalzando da un canale all’altro, riconfigurandosi secondo le convenienze di chi comunica, notizie non verificate vengono impiegate come armi di propaganda sia per colpire scientemente il nemico sia come diversivo per distogliere l’attenzione dai veri problemi.

CinaCoronavirusmediaMessaggero VenetoUsa
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