In Afghanistan la situazione sta precipitando. Lo testimoniano bene le oltre 30mila persone che ogni settimana tentano la fuga dalla violenza preannunciando una nuova, catastrofica crisi umanitaria e un’altra emergenza profughi. Tutto nasce dalle poderose avanzate talebane che, approfittando del ritiro delle forze occidentali, stanno mettendo alle strette le forze di Kabul, che ormai controllano solo le principali città. Si profila quindi, in assenza di una mediazione internazionale che arresti le operazioni militari talebane e apra un tavolo negoziale tra il movimento islamista e il governo centrale, non solo l’imminente collasso delle istituzioni afghane faticosamente costruite durante il ventennio della presenza occidentale ma anche la restaurazione del famigerato Emirato islamico. Una simile eventualità potrebbe materializzarsi a breve, visto lo stretto calendario del ritiro del contingente Usa e di quelli alleati, che, secondo l’accordo preso con gli stessi talebani, dovrebbero essere fuori dal Paese entro il prossimo 11 settembre. Per quanto addestrato e rifornito in tutti questi anni da Washington, il solo esercito afghano non basterà certo a contrastare la marcia talebana verso la capitale Per accelerare i tempi, i talebani stanno anche ricorrendo agli omicidi mirati dei piloti dell’aviazione afghana, l’unica temibile arma ancora in mano all’esercito di Kabul. Gli americani, dal canto loro, sono divisi: se una parte ha accettato di buon grado il disimpegno dalla guerra infinita che è costata non solo vite umane ma anche un ingente impegno finanziario, c’è chi grida al tradimento degli impegni presi sin dai tempi della caduta delle Torri Gemelle e la conseguente invasione dell’Afghanistan. In gioco infatti c’è la sopravvivenza stessa di quell’embrione di società civile che era stato faticosamente costruito con l’assistenza occidentale. Quel che si profila in Afghanistan dal punto di vista degli Usa è dunque una sconfitta storica che ricorda quella patita quasi cinquant’anni fa in Vietnam. A ricordare questa verità amara ci sono le evacuazioni dei civili che in questi venti anni hanno collaborato con gli Americani e che ora temono per la loro vita: migliaia di interpreti, cooperanti e funzionari cui ora l’America concede un salvacondotto. Ma questo pannicello caldo nulla fa per mettere in sicurezza quelle altre figure, tra cui spiccano gli esponenti del mondo dell’informazione, che si sono impegnate per un Afghanistan libero e democratico e che i talebani non a caso stanno falcidiando uno per uno. L’unica possibile via di uscita, ripetiamolo, è la convocazione di una Conferenza internazionale in cui si tenti una quasi ormai impossibile riconciliazione nazionale. Ma il tempo stringe e ad ogni distretto conquistato dai talebani diminuiscono le possibilità di un loro coinvolgimento in trattative di pace. La via diplomatica è peraltro resa accidentata dalle pesanti interferenze dei Paesi vicini come il Pakistan, che appoggia apertamente i talebani in chiave anti-indiana. La delegazione afghana alle Olimpiadi di Tokyo, limitata a cinque atleti, è insomma l’immagine plastica di un Paese condannato a non avere futuro.
La nuova crisi umanitaria in Afghanistan
Pubblicato il 06/08/2021 - Messaggero Veneto
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