L’indipendentismo catalano ha ottenuto quanto meno un risultato, conquistando i cuori e le menti dell’opinione pubblica di casa nostra. Ma coloro che palpitano per le sorti dell’ipotetica Republica de Catalunya dovrebbero prestare ascolto alla campana, che non può che essere sorda alla logica delle emozioni, del diritto internazionale. Come spiega Manlio Frigo, che lo insegna all’Università di Milano, la giurisprudenza consolidata stabilisce come il principio dell’autodeterminazione dei popoli invocato dai partiti secessionisti di Barcellona non possa essere applicato in queste circostanze. Esso vale infatti esclusivamente in tre casi: “i popoli soggetti a dominio coloniale, i popoli il cui territorio è stato occupato da uno Stato straniero e i gruppi minoritari che all’interno di uno Stato sovrano si vedano rifiutare un accesso effettivo all’esercizio del potere di governo”. La Comunità autonoma di Catalogna è, com’è noto, una regione che esercita poteri pressoché illimitati in svariati ambiti. I partiti che hanno conquistato la Generalitat ne vogliono di più, non c’è dubbio, specie in materia economica. Con un Pil di oltre duecento miliardi di euro, più della Romania o dei Paesi baltici messi insieme, la Catalogna è una potenza economica cui stanno stretti i trasferimenti fiscali su cui si regge ogni amministrazione centrale che governi regioni più e meno sviluppate. Ma se gli indipendentisti sognano di tagliare il nodo gordiano che li costringe a sostenere gli spagnoli meno abbienti, farebbero bene a pensarci due volte prima di condannare, con l’exit dalla Spagna, la loro “nazione” alla marginalità dai flussi economici che contano: quelli interni alla Spagna e quelli esterni con l’Unione Europea. Come Bruxelles ha fatto chiaramente sapere ai recalcitranti leader catalani, in caso di secessione sarebbe automatica l’espulsione dalla Comunità e dal suo mercato comune, con immediata applicazione del regime di dazi che penalizzerebbe tutte le loro produzioni. Non solo: con l’uscita dall’euro si scatenerebbe un rialzo dei tassi nonché una corsa dei catalani a prelevare i risparmi, entrambi ancorati sino ad ora ad una valuta stabile e garantita, oltre che sapientemente regolata, dalla Bce. La recente esperienza della Grecia insegna che sarebbe un disastro epico, di cui i partiti separatisti sarebbero chiamati a rispondere dinanzi ai cittadini che finora hanno tifato, anche a causa di una propaganda incauta, per la gloriosa marcia verso l’indipendenza. C’è una cospicua componente di demagogia, nell’avventura catalana. E di illegalità: come Madrid ha cercato di spiegare, la Costituzione del 1978 parla di “indissolubile unità della Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli”. Non a caso, il Tribunal Supremo ha bocciato sonoramente la legge varata dal Parlament di Barcellona che autorizzava il referendum del 1 ottobre e regolerebbe la transizione dal regime spagnolo a quello catalano. Il salto che l’assemblea catalana si accingerebbe a fare, proclamando la Dichiarazione unilaterale d’indipendenza, sarebbe non nel buio, ma nelle maglie della Guardia Civil e della Policia Nacional che non avrebbero altra scelta se non far rispettare la legalità. C’è una forte dose di irresponsabilità nei partiti e movimenti indipendentisti catalani, che li ha spinti – lo abbiamo visto domenica, in occasione del referendum – a gettare i cittadini nelle braccia degli agenti in assetto antisommossa pur di perseguire il proprio sogno. Un sogno non condiviso, però, da quella maggioranza silenziosa che ha scelto di disertare il voto, determinandone la partecipazione minoritaria. Si può, in democrazia, autorizzare una minoranza a violare la legge in nome di un’utopia condivisa sì e no dal 40% di un popolo e perseguita col ricatto di un referendum senza quorum? Prevalga la ragionevolezza, si cheti lo sfrontato populismo che tanto danno promette di fare agli interessi dei catalani, e si segua l’unica strada possibile: il negoziato con Madrid. Che, facilitato dai mediatori che si sono offerti in questi giorni convulsi, farà trovare uno sbocco ad una crisi istituzionale che minaccia di dissolvere l’unico orizzonte che abbiamo tutti: l’unità dell’Europa.
La demagogia in salsa catalana
Pubblicato il 07/10/2017 - Il Piccolo
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