Dopo aver accumulato in questa prima parte del 2018 una sfilza di vittorie, tra cui quelle recenti nelle province meridionali di Deraa e Quneitra, il regime di Damasco si trova adesso in una posizione di forza che potrebbe consentirgli di lanciare presto l’ennesima e probabilmente decisiva sfida ai suoi oppositori: riconquistare il governatorato di Idlib.
In un’intervista rilasciata alla fine di luglio ai media russi, Bashar al-Assad ha reso nota la sua intenzione di passare molto presto ai fatti. “Ora Idlib è il nostro obiettivo”, ha dichiarato tronfio il presidente siriano. “L’esercito”, ha aggiunto, “deciderà le priorità e Idlib è una di queste”.
Ultima ridotta dei ribelli, Idlib ha visto ingrossare nel tempo la sua popolazione a seguito degli accordi di evacuazione imposti dal regime ai suoi oppositori nei territori riconquistati. Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel governatorato vivono oggi due milioni e mezzo di persone, il doppio del livello anteguerra. Tra essi, decine di migliaia di miliziani di varie sigle, inclusi i temibili qaedisti di Hayat Tahrir al-Sham e alcune schegge dello Stato Islamico, ma anche militanti per la democrazia, islamisti moderati e radicali, e ogni altro gradiente dell’opposizione alla dittatura assadista. Idlib è un distillato della rivoluzione che gli eventi di questi ultimi anni, incluso il decisivo intervento russo del settembre 2015, hanno fatto sì che divenisse l’ultimo residuo della spinta che ha visto il popolo siriano imbracciare le armi per scalzare dal potere la dittatura baathista.
A seguito degli accordi di Astana presi da Russia, Iran e Turchia, Idlib è stata dichiarata l’anno scorso una zona di “de-escalation”, una sorta di tregua di cui le tre potenze si sono fatte garanti. Una tregua già violata da Assad a giugno, quando il suo esercito, appoggiato dall’aviazione russa, ha marciato verso Deraa, altra provincia in cui, secondo il patto di Astana, avrebbe dovuto reggere il cessate il fuoco. È chiaro ormai che Assad non si sente vincolato a nessun accordo, che sente il vento in poppa e vorrebbe riprendere possesso manu militari di tutta la Siria. Ora che persino i curdi, che controllano ampie porzioni della Siria nordorientale, accennano alla possibilità di un’intesa con il regime, la battaglia di Idlib potrebbe segnare la fine della guerra civile e sancire la definitiva vittoria di Assad.
L’imminente deflagrare dei combattimenti a Idlib è uno dei tre scenari che Ahmet Altindal, ricercatore dello Integrity Uk Center, delinea nella sua analisi vergata per il quotidiano The National. Le dichiarazioni di Assad, e il posizionamento delle sue forze armate ai margini del governatorato, testimoniano la concreta possibilità che le ostilità inizino molto presto. Non sarà, tuttavia, una passeggiata. Le armate del regime si scontrerebbero con alcuni dei più consumati combattenti del fronte antiassadista, rendendo concreta la possibilità di un prolungato spargimento di sangue.
La battaglia per Idlib genererebbe inoltre sicuramente un nuovo flusso di profughi che, secondo il preoccupato calcolo degli operatori umanitari, potrebbe raggiungere proporzioni bibliche. “Crescenti ostilità sono attese nel Nord Ovest nel prossimo periodo”, recita l’ultimo bollettino mensile del cluster di agenzie che operano in Siria sotto il coordinamento della World Health Organization, che prevede, quale conseguenza, la fuga di un numero di persone comprese “tra 250 mila e 700 mila”.
Non è certo per il timore di prolungare il dramma del popolo siriano che Assad potrebbe optare per un dilazionamento delle operazioni militari. In base a questo secondo scenario, Russia e Turchia si adopererebbero per creare un cordone sanitario intorno ad Idlib, garantendo che i ribelli rimangano inoffensivi e non pongano alcuna minaccia. Si tratterebbe naturalmente di un equilibrio precario, non solo in quanto Assad dovrebbe mordere il freno, ma anche perché due milioni e mezzo di persone si troverebbero segregate in uno spazio relativamente ristretto, cronicamente dipendenti dagli aiuti umanitari e dal mantenimento di un minimo di legami commerciali con il resto del paese e con la Turchia. Idlib si trasformerebbe così in una sorta di pentola a pressione pronta a scoppiare in qualsiasi momento.
Il terzo e ultimo scenario descritto da Altindal affida un ruolo decisivo alla Turchia. La quale si troverebbe a garantire, in una sorta di protettorato, la sicurezza di Idlib. Questo d’altronde è quanto è stato deciso la scorsa settimana in un incontro del trio di Astana a Sochi, dove ad Ankara è stato riaffidato il compito di assicurare il mantenimento della pace e dell’ordine in questa zona contesa. Compito non semplice, considerata l’irrequietezza di alcune formazioni ribelli e la loro propensione a risolvere le controversie ricorrendo a metodi particolarmente efferati.
A giudicare da come la Turchia si sta comportando nei territori siriani sotto il suo controllo più a Nord, le conseguenze di questo scenario possono essere definite come la “turchizzazione” di Idlib. Come dimostrano i casi di Al Bab ad Afrin, la Turchia non si limiterebbe infatti ad amministrare l’area in modo neutrale, ma dispiegherebbe tutta la sua influenza sul piano sociale e culturale, trasformando Idlib in una sorta di “Repubblica turca del Nord della Siria”.
La concretizzazione di ciascuno di questi tre scenari dipende da una concatenazione di fattori che rende ardua ogni previsione. Se l’ipotesi più probabile rimane il lancio di un’offensiva in piena regola da parte di Damasco, bisogna tenere conto anche delle variabili internazionali, a partire dalle decisioni che prenderà l’attore più influente in Siria, la Russia. Il fatto che Mosca, dopo le dichiarazioni di fine luglio di Assad, si sia affrettata a rendere noto che non ci sono piani per un assalto a Idilib evidenzia come la volontà del principale alleato di Damasco resta il fattore decisivo.
Se Bashar è oggi in una posizione di forza, d’altro canto, lo deve esclusivamente a Vladimir Putin. Senza il benestare di quest’ultimo, la sua ambizione di riconquistare “ogni centimetro quadrato” della Siria è destinato a rimanere tale. Il problema di Idlib resta dunque aperto. Fino a nuovo ordine.