Approvato nell’ottobre alla Camera, il disegno di legge sullo ius soli giace al Senato. Il primo ministro Gentiloni si è impegnato a promuoverne l’approvazione, superando la reticenza delle stesse forze di maggioranza. Sarebbe un atto storico per il nostro Paese. Un Paese che è profondamente cambiato negli ultimi venticinque anni. Oltre cinque milioni di cittadini stranieri hanno eletto l’Italia a propria patria. Molti di questi vi hanno fatto famiglia, e figli. Questi ultimi, le seconde generazioni, sono una componente sempre più visibile della nostra gioventù. In ottocentomila siedono tra i banchi scolastici, dove sono compagni dei nostri ragazzi e condividono con essi studi, passioni, stili di vita, e la lingua madre. Militano con loro nelle associazioni culturali e sportive. Frequentano gli oratori, anche quando non sono di confessione cattolica. Nel prossimo futuro, saranno parte della classe dirigente, in posizioni di responsabilità. Sono il volto più appariscente di una società mutata a seguito dei flussi migratori. Una società multietnica, nella quale essere diversi per origine e cultura non è più condizione rara, ma la normalità. La legge sullo ius soli nasce per ratificare questa situazione. È stata concepita per superare i limiti dell’attuale normativa, la legge 91 del 1992, pensata su misura degli italiani all’estero, cui il legislatore volle garantire una via maestra per ottenere la cittadinanza della patria ancestrale. Nel terzo millennio l’esigenza primaria è invece aprire ai figli degli immigrati una via agevolata per ottenere la cittadinanza e, quindi, conseguire una parificazione rispetto ai coetanei italiani. Il disegno di legge sancirebbe il passaggio dall’attuale principio dello ius sanguinis – si è cittadini se si ha sangue italiano – al diritto del suolo. Secondo la nuova legge diventerebbe italiano, dopo cinque anni di permanenza sul territorio nazionale, il figlio di genitori immigrati nato in Italia, purché almeno uno di questi ultimi abbia il diritto di soggiorno permanente o sia titolare di permesso di soggiorno di lungo periodo. La legge prevede anche una seconda strada per diventare cittadini, lo “ius culturae”: un minore straniero, se arrivato in Italia entro i dodici anni, acquista la cittadinanza dopo aver frequentato nei nostri istituti un ciclo scolastico o formativo. Questa seconda condizione ratifica un dato sociologico: si diventa italiani a scuola, imparando Dante e la storia del nostro Paese. Ciò comprova l’appartenenza del giovane alla comunità degli italiani, da cui l’opportunità di diventare cittadino. Ius soli e ius culturae entrerebbero a far parte del patrimonio giuridico nazionale offrendo una fotografia fedele della società contemporanea. Una società in cui i cosiddetti “italiani senza passaporto” meritano gli stessi diritti degli altri. Se il Senato avrà la volontà di approvare il provvedimento, farà un gran servizio a tutti coloro che credono che essere italiani non è una condizione ascritta, ma una realtà che si guadagna sul campo della vita quotidiana.
Ius soli: aspettando la legge
Pubblicato il 03/11/2017 - Messaggero Veneto
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