La notizia è di quelle esplosive, anche per una terra abituata ad eruzioni vulcaniche come la Repubblica Islamica d’Iran. Secondo un sondaggio commissionato dalla Presidenza della Repubblica, il 49,8% degli iraniani, femmine e maschi, ritiene che l’hijab sia un affare privato in cui il governo non dovrebbe intromettersi. Si tratta di un ripudio bello e buono della politica del velo obbligatorio, croce di milioni di donne iraniane costrette ad obbedire ad uno dei diktat del fondatore della Repubblica islamica, l’ayatollah Ruollah Khomeini, che vi intravide un pilastro della sua creatura politica. Che il consenso al velo obbligatorio fosse vacillante era cosa nota. Dal 2014, l’attivista ora in esilio negli Stati Uniti Masih Alinejad esorta le sue concittadine a farsi immortalare, in foto o in video, senza velo, sorridenti e con il segno della vittoria. Il sito della campagna, “My Stealthy Freedom”, da allora è stato inondato di migliaia di istantanee di donne iraniane che sfidano a capo scoperto l’ortodossia della teocrazia sciita. La campagna, peraltro, si è intensificata in questi ultimi giorni. La scorsa settimana le autorità iraniane hanno dato notizia di 29 arresti a Teheran con questo capo di imputazione. Si trattava di donne che hanno aderito all’ultima iniziativa di Alinejad, “i mercoledì bianchi”, durante i quali le iraniane sono invitate a svelarsi e a inastare il proprio hijab bianco su un bastone. Se il presidente moderato Hassan Rouhani vorrà dare fede al suo programma elettorale di rendere meno stringenti i codici islamici vigenti in Iran, avrà del filo da torcere. Dovrà fare i conti con il variegato universo dei falchi conservatori e con gli intransigenti della shari’a, i giurisperiti che a forza di citazioni coraniche e altre dotte argomentazioni sogliono persuadere il prossimo che il dovere di ogni donna musulmana adulta è di coprirsi il capo. La sfida di Rouhani ha poche possibilità anche perché il velo è più di un simbolo religioso: è il caposaldo di un assetto sociale che assegna alle donne un compito subordinato e obbliga ad ostentare questa condizione. Appare infine improbabile che l’establishment religioso, ben aggrappato ai propri privilegi sociali ed economici, sia disposto a rinunciare ad un elemento che rafforza la propria legittimità. La scommessa di Rouhani è di rinnovare un paese che è popolato da giovanissimi cui stanno molto stretti i tabù e gli interdetti dell’islam rigorista sciita. Le sue possibilità di vittoria sono invece risicate: ha dalla sua il popolo, ma non l’apparato repressivo, saldamente nelle mani della Guida Suprema Ali Khamenei e dei Guardiani della Rivoluzione, che – come fecero con l’onda verde del 2009 –non ci penserebbero due volte a soffocare anche con la violenza una sfida al regime.
In Iran le donne alzano la testa. E la scoprono