L’attesissimo summit di Singapore si è celebrato sotto gli occhi attenti della stampa e dell’opinione pubblica mondiale, smaniosi di vedere ciò che fino a pochi mesi fa sembrava impossibile: la stretta di mano tra il presidente Usa Donald Trump e il leader supremo della Corea del Nord Kim Jong-un. Due uomini a capo di due paesi tecnicamente ancora in guerra, che hanno trascorso l’intero 2017 a scambiarsi insulti e minacce, ma che quest’anno hanno deciso di tentare una mediazione sulla crisi nucleare che tanta preoccupazione ha destato nel mondo. Il vertice, sotto un certo punto di vista, è stato un successo. Il fatto stesso che i due leader abbiano avuto un tête-à-tête di 40 minuti alla presenza dei soli interpreti ha permesso di sviluppare una “eccellente relazione” tra i due, come ha dichiarato entusiasta il capo della Casa Bianca. Al termine del summit, inoltre, i due leader hanno firmato una dichiarazione congiunta che getta le basi per l’avvio di relazioni pacifiche tra i due paesi nonché di un processo diplomatico di lungo termine con il quale venire a capo del problema dell’arsenale nucleare e missilistico di Pyongyang. Chi si aspettava che Kim e Trump a Singapore firmassero in un colpo solo la pace e decidessero lo smantellamento delle armi in mano al regime è rimasto tuttavia deluso. Il documento siglato dai due capi di Stato è fin troppo generico, e soffre di una ambiguità di fondo. Il testo parla infatti dell’impegno da parte della Corea del Nord a procedere alla “completa denuclearizzazione della penisola coreana”. Ma per la Corea del Nord, quest’espressione ha un significato diverso da quello attribuitogli dagli Stati Uniti. Se questi mirano a togliere dalla Corea del Nord tutte le testate nucleari esistenti, i missili balistici intercontinentali su cui montarle, e – nel lungo termine – porre termine al programma atomico di Pyongyang, quest’ultima ha come obiettivo il ritiro del cosiddetto “ombrello nucleare” con cui le forze armate statunitensi difendono i loro alleati asiatici, Corea del Sud e Giappone. Trovare una quadra a queste due posizioni inconciliabili è il compito che ora ricade sulle spalle del Segretario di Stato Mike Pompeo, esplicitamente citato nel documento siglato da Kim e Trump come responsabile del processo diplomatico che coinvolgerà Stati Uniti e Nord Corea per lungo tempo. Un tempo durante il quale non sono esclusi repentini voltafaccia da parte di Pyongyang, esattamente come ha fatto nei precedenti tentativi condotti da torme di negoziatori americani, giapponesi, cinesi, russi e sudcoreani. Se dunque è presto per cantare vittoria, e dichiarare la fine dell’incubo nucleare in Estremo Oriente, ci sono buone ragioni per nutrire qualche speranza. In fin dei conti, quando due nemici si parlano a tu per tu, l’ottimismo dovrebbe prevalere, nonostante tutto.
Incubo nucleare: la speranza da una stretta di mano
Pubblicato il 15/06/2018 - Il Friuli
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