skip to Main Content

Il summit di Singapore lascia problemi aperti

Pubblicato il 13/06/2018 - Il Piccolo

In tutte le vicende umane esiste un prima e un dopo. È così anche nel caso della relazione tra Stati Uniti e Corea del Nord, due nemici storici i cui leader hanno trascorso l’intero 2017 a scambiarsi insulti e minacce e prospettando l’inquietante scenario di un conflitto nucleare in Estremo Oriente. Ora però, con il summit di Singapore, Washington e Pyongyang hanno deciso di compiere un radicale cambio di rotta. La lunga stretta di mano tra Donald Trump e Kim Jong-un in apertura del vertice, il cordiale tête-à-tête di quaranta minuti con i soli interpreti, il successivo meeting alla presenza dei rispettivi consiglieri e il pranzo finale hanno gettato le basi per una svolta nella storia della penisola coreana. Una svolta sigillata dal documento siglato congiuntamente dai due capi di Stato, nel quale Stati Uniti e Corea del Nord promettono di nutrire relazioni pacifiche e di risolvere il nodo del programma nucleare di Pyongyang. Quest’ultima si è quindi impegnata a procedere alla denuclearizzazione, in cambio di garanzie di sicurezza da parte degli Usa. L’accordo stabilisce inoltre che i due paesi proseguiranno i colloqui per un tempo indefinito, da usare per venire a capo di tutti i problemi irrisolti. Prodigo di elogi per il suo interlocutore, Donald Trump ha inoltre invitato Kim alla Casa Bianca, un gesto che equivale ad un riconoscimento cui il Maresciallo, capo dello Stato più isolato e sanzionato al mondo, senz’altro ambiva. È dunque scoppiata la pace nella penisola coreana? È presto per dirlo. Pur rappresentando una svolta in un rapporto sin troppo teso, il summit di Singapore non ha risolto – per il momento – alcuno dei problemi che affliggono le relazioni tra i due paesi. Come si evince dal documento siglato da Trump e Kim, gli impegni presi dalla Corea del Nord in materia di nucleare sono generici e soffrono di un’ambiguità di fondo. Per Pyongyang infatti, “denuclearizzazione della penisola coreana” non ha lo stesso significato attribuito a questa espressione dagli americani. Se questi ultimi mirano alla denuclearizzazione “completa, verificabile e irreversibile” del Nord, ovvero allo smantellamento in tempi rapidi dell’arsenale nucleare in mano al regime, Pyongyang desidera invece che venga meno “l’ombrello nucleare” con cui gli Stati Uniti garantiscono la difesa dei propri alleati asiatici, Corea del Sud e Giappone. Ci vorrà una lunga serie di incontri bilaterali per accorciare le differenze tra queste due posizioni apparentemente inconciliabili, e per capire se la Corea del Nord intenda effettivamente rinunciare al suo deterrente atomico in cambio della garanzia da parte degli Stati Uniti di non nutrire intenzioni aggressive. Insomma, il summit di ieri è stato un grande e spettacolare show a beneficio del pubblico mondiale, che però, quanto a risultati, appare quanto meno interlocutorio. Ma la delusione per non aver risolto in un colpo solo il problema dell’atomica coreana deve essere mitigata dalla constatazione che due irriducibili nemici finalmente si parlano a tu per tu e affrontano di petto le questioni che li dividono. Solo per questo, i tredici milioni di dollari di costo del summit, pagati dal governo di Singapore, sono valsi la pena.

Corea del NordIl PiccoloKim Jong-unSingaporeTrumpTrump Donald J.Usa
Stampa

Iscriviti Alla Newsletter

Iscriviti per ricevere gli articoli e le ultime notizie

Grazie per esserti iscritto

Something went wrong.

Back To Top

Iscriviti Alla Newsletter

Iscriviti per ricevere gli articoli e le ultime notizie

Grazie per esserti iscritto

Something went wrong.

Iscriviti Alla Newsletter

Iscriviti per ricevere gli articoli e le ultime notizie

Grazie per esserti iscritto

Something went wrong.