Dopo un’odissea durata dieci giorni, l’incredibile vicenda della nave Diciotti conosce l’unico epilogo possibile: lo sbarco di tutti i 177 migranti tenuti forzosamente a bordo per decisione del ministro degli Interni. La crisi voluta dal leader leghista col consenso di tutto il governo si sblocca grazie all’intervento di Papa Francesco, che ha impegnato la Conferenza Episcopale ad accogliere parte dei naufraghi, e alla disponibilità in tal senso di Irlanda ed Albania. L’Italia che coltiva ancora sentimenti umanitari tira un sospiro di sollievo, mentre i fan del Capitano possono brindare alla mezza vittoria ottenuta, con un braccio di ferro inaudito, da Matteo Salvini. Un trionfo che si consuma, però, all’insegna di quattro acuti paradossi che sono – a ben vedere – la cifra della stagione del sovran-populismo. Primo: dopo aver soccorso in mare i migranti, al pattugliatore della Guardia Costiera è stato impedito per quattro giorni di attraccare in un porto italiano. Come se fosse un vascello pirata, e non una nave italiana comandata da un ufficiale italiano. Secondo: una democrazia occidentale, che ha per faro i diritti umani, ha fatto strame del diritto internazionale ed umanitario, per non parlare della nostra Costituzione, che la obbligano a farsi carico di chi fugge da Paesi – come l’Eritrea, da cui provengono 130 dei 177 profughi – dove i diritti umani sono sistematicamente calpestati. Terzo: pretendendo la redistribuzione dei migranti e minacciando, in caso contrario, di non erogare i dodici miliardi (non venti, come ha affermato l’altro vicepremier, Luigi Di Maio) dovuti per finanziare il bilancio comunitario, un Paese fondatore dell’Unione Europea ha esercitato un ricatto e un tentativo di estorsione nei confronti di Bruxelles. Minaccia ribadita dall’ineffabile primo ministro Giuseppe Conte, che ha ventilato l’ipotesi di porre il veto al bilancio Ue quando, tra sei mesi, sarà sul tavolo dei 27 Stati-membri. Quarto: il ministro degli Interni, sommo custode della legalità, è ora indagato per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio, come da istruttoria aperta dal procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio. Bastano questi quattro rilievi per consegnare alla storia un verdetto inesorabile: il caso della Diciotti getta nel disonore il Paese che gli italiani, lo scorso 4 marzo, hanno consegnato nelle mani irresponsabili dei sovran-populisti. Che hanno dimostrato di essere pronti a tutto, anche a violare la legge e a minare la reputazione dell’Italia, pur di vellicare la pancia dei loro elettori. I quali non per caso, anche in questa circostanza, hanno tifato in tempo reale, tra tweet al vetriolo e post razzisti, per gli imbonitori muniti di prerogative ministeriali. L’eversione elevata a metodo di governo può pagare dal punto di vista dei consensi. Ma è un gioco pericoloso, che ci espone e predispone alla deriva della nostra democrazia. Che se, secondo i suoi teorici classici e moderni, dovrebbe essere fondata sulle scelte razionali dei cittadini, ora si trova in balia delle onde impetuose dei più bassi istinti popolari. Gli stessi che hanno trovato nei migranti il capro espiatorio della crisi della Repubblica. Una crisi che la marea montante del sovran-populismo sta ora dirottando verso terre incognite. Perché sia chiaro: quando un governo crede di poter agire sopra le leggi, e oltre la razionalità, non solo mette a repentaglio l’interesse nazionale. Sta, soprattutto, demolendo l’impalcatura su cui si regge la convivenza civile. Se volevamo una prova della minaccia che il sovran-populismo pone alla nostra democrazia, l’abbiamo trovata. Ha il volto di 177 disperati privati dei loro diritti dal governo italiano. Oggi tocca a loro: domani chissà.
Il sovran-populismo e la frenata sulla Diciotti
Pubblicato il 27/08/2018 - Il Piccolo
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