Che cosa può cambiare dopo l’accordo fra Italia e Grecia sulle rispettive Zone economiche esclusive (Zee)
È stato salutato come un ottimo accordo quello siglato questa settimana ad Atene dal nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio e dal suo omologo Nikos Dendias.
Ponendo a compimento un processo cominciato nel lontano 1977 con la sigla di un’intesa provvisoria, Roma e Atene hanno finalmente delimitato le rispettive zone economiche esclusive, stabilendo i confini marittimi entro cui ciascun Paese ha il diritti esclusivo di esplorazione e sfruttamento delle risorse naturali.
Per effettuare le demarcazione, Italia e Grecia – come spiega l’approfondimento di Affari Internazionali – hanno stabilito che (…) sarà valido per la colonna d’acqua il confine della piattaforma continentale definito con il trattato del 1977.”
La delimitazione dei confini marittimi pone al tempo stesso fine ad alcune spiacevoli dispute bilaterali relative ai diritti di pesca nelle acque attigue.
Più nello specifico, come fa notare ancora Affari Internazionali, la Grecia si è impegnata “a concedere a 68 nostre barche da pesca, sulla base del regolamento Ue 1380/2013, l’accesso alle proprie acque territoriali nella fascia tra le 6 e le 12 mg”, con un grande vantaggio per noi considerato che la loro estensione è oggi di 6 mg.
Ma al di là dei vantaggio specifici per l’una e per l’altra parte, il punto dell’intesa è tutto politico ed è stato colto bene non a caso dall’analista Germano Dottori, consigliere scientifico di Limes e docente di Studi strategici alla Luiss
“L’importanza della mossa italiana”, ha scritto Dottori su Start Magazine, “risiede nella circostanza che ad Atene il ministro Di Maio ha di fatto avviato un processo che dovrebbe sfociare nella progressiva definizione della Zee da parte del nostro paese”.
Questo in concreto significa, secondo Dottori, che “l’Italia ha iniziato a piantare dei paletti in mare, formalizzando un’estensione della propria sovranità marittima alla quale si era finora rinunciato per non incoraggiare altri Stati rivieraschi a fare altrettanto, nella presunzione che potessero alla fine risultarne pregiudicati gli interessi di qualche pescatore del nostro paese”.
Anche per Fabio Caffio, Ufficiale della Marina militare in congedo ed esperto di diritto marittimo, a valenza dell’accordo sta proprio nel fatto che – gettato ormai il cuore oltre l’ostacolo – “nulla impedisce al nostro Paese di entrare nella partita delle Zee, sia istituendole nel proprio ordinamento (anche per contrastare la pretesa algerina), sia validando per la colonna d’acqua i confini della piattaforma continentale già stabiliti con Spagna, Tunisia, Albania e Croazia. Tra l’altro, questa sarebbe l’occasione per definire le questioni di pesca pendenti con Tunisi (per la spartizione della zona riservata di pesca) e con Zagabria (per l’accesso alle acque territoriali dell’Isola di Pelagosa secondo il Trattato di Pace dal 1947)”.
Il medesimo discorso, specularmente, vale anche per Atene, che dopo il passo fatto con noi potrebbe, come osserva ancora Affari Internazionali, attuare “la strategia di proclamazione della propria grande Zee, i cui limiti a Est saranno definiti con Egitto e Cipro”.
Tutto ciò non potrà che avere ripercussioni sull’altro accordo per le ZEE siglato lo scorso novembre da Turchia e Tripoli proprio in funzione anti-Atene.
“Oggi è un bel giorno per la Grecia, l’Italia, l’Europa e l’intero Mediterraneo”, sono state non a caso le parole del premier Mitsotakis, lieto che l’accordo appaia perfettamente rispettoso tanto della legge internazionale quanto della convenzione Onu sulla legge del mare.
Analogamente, il ministro Dendias, ha rilevato che la “demarcazione delle zone marittime viene realizzata in accordo con la legge internazionale, con accordi validi (…) e non con accordi senza sostanza come quello turco-libico”.
È ovvio, dunque, che l’intesa tra Atene e Roma intervenga a gamba tesa nelle tensioni che in questo momento attraversano il Mediterraneo, con particolare riguardo al conflitto in Libia, all’irrisolta questione di Cipro e alle controversie per lo sfruttamento dei giacimenti di gas nel Mediterraneo Orientale, tutti temi in cui la Turchia è passata recentemente all’attacco innescando altrettante controreazioni da parte dei vari attori coinvolti.
Appare tutt’altro che una coincidenza, pertanto, il sostegno all’accordo italo-greco – si tratta di “un giusto accordo nel Mediterraneo” – annunciato quasi subito dalla commissione Difesa e sicurezza della Camera dei rappresentanti della Libia, ossia dal Parlamento di Tobruk che rappresenta il polo di potere rivale a quello del tripolino Fayez al Sarraj e del suo alleato turco.
In realtà, se stiamo alla lettura che dell’accordo fatta da Cinzia Bianco, visiting fellow presso l’European Council on Foreign Relations, la mossa di Roma appare tutt’altro che antagonizzante o non almeno come la stanno interpretando i greci.
Al contrario, ha osservato Bianco in una conversazione con Start Magazine, nel firmare l’intesa l’Italia avrebbe “fatto semplicemente l’Italia, in virtù della sua storia, della sua posizione geopolitica, dei suoi interessi, e lo ha fatto tentando come al suo solito di mantenere una posizione bilanciata. Era infatti diventato sempre più chiaro negli ultimi tempi che in Libia l’Italia è sempre più allineata con la Turchia. Di qui l’accordo con la Grecia, fatto per bilanciare questo allineamento e rassicurare la Grecia che questo non andrà ad inficiare la sua posizione nel teatro mediterraneo”.