di m”. Un saggio con cui gli autori denunciano, tra le altre cose, la ciber-ingerenza russa nella campagna referendaria dell’anno scorso, quella in cui gli italiani sono stati chiamati a votare la riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi e dall’ex ministra Maria Elena Boschi. Una consultazione che, come sappiamo, si concluse con il rigetto dell’iniziativa governativa da parte dell’elettorato.
Secondo Biden e Carpenter, in quella sconfitta ci sarebbe lo zampino di Vladimir Putin, mandante di una sofisticata operazione di propaganda che, sulla scia di quanto avvenuto nella campagna presidenziale americana 2016, avrebbe agito soprattutto nel terreno dei social media. Non basta. A detta dei due big democratici, lo zar starebbe continuando a tutt’oggi a manipolare il web di casa nostra, insinuandovi una disinformazione finalizzata a sostenere gli sforzi di Lega e MoVimento 5 Stelle di espugnare i palazzi romani.
Il Pd lancia l’allarme e, tramite Michele Anzaldi, chiede al “ministro degli Esteri Angelino Alfano” di “convocare immediatamente gli ambasciatori di Usa e Russia per avere chiarimenti urgenti”. Dal canto loro, gli interessati – ça va sans dire – negano. “Renzi ha perso il referendum”, dichiara Matteo Salvini, “e perderà le elezioni, perché gli italiani hanno buon senso, non perché lo vuole Putin”. Il leader del Carroccio non nasconde però i suoi sentimenti filo-russi, ben testimoniati dal suo incontro con Putin nel 2015. “Un buon rapporto con la Russia”, afferma Salvini, “è strategico per l’Italia e per le imprese italiane, le sanzioni contro Mosca sono una follia che toglieremo. Non perché lo dice Putin, ma perché è nell’interesse nazionale italiano. E lo faremo non perché qualcuno ci paga, ma perché è semplicemente giusto”.
Di “fake news” parlano invece i grillini. “Abbiamo rifiutato gli aiuti pubblici italiani, figurarsi se abbiamo mai pensato di riceverne di stranieri”, affermano. “Noi facciamo da soli. Non abbiamo e non vogliamo e rifiutiamo categoricamente e assolutamente qualsiasi aiuto, di qualsiasi tipo, sia dallo Stato italiano sia da quelli stranieri. Se vinceremo è perché lo avranno deciso gli italiani. (…) Bisogna saper perdere. E soprattutto bisogna rispettare il voto dei cittadini italiani. Un anno fa l’allora governo americano e quello italiano puntarono sulla vittoria del Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre. Gli italiani se ne fregarono altamente delle loro indicazioni, andarono a votare in massa e salvarono la Costituzione da una riforma scriteriata”. I pentastellati ricordano che “noi girammo tutta l’Italia per mesi per denunciar(e) i pericoli” della riforma costituzionale. Quella del governo, aggiungono, fu una “sconfitta bruciante da cui ancora non si sono ripresi. Come chi non sa perdere cercano scuse inverosimili come giustificazione”.
A rinforzo, arrivano le parole di Luigi Di Maio. Che etichetta le accuse di Biden come un caso di “storytelling”. La tesi del candidato premier pentastellato è semplice: poiché il M5S è, stando ai sondaggi, la prima forza politica del Paese, non può che esserci “qualche imbroglio”. Idem per il referendum. “Secondo me”, spiega, “in questo Paese si deve imparare a perdere. Non possono utilizzare il complottismo sui russi per spiegare perché hanno perso il referendum: andate a chiedere ai milioni di italiani che hanno votato No se sono stati pagati dai russi o volevano mandare a casa Renzi. Siamo all’assurdo, anche Biden si faccia una ragione che hanno perso le elezioni contro Trump”.
I giornali italiani, a partire da La Stampa, hanno discusso ampiamente del caso Biden. Riportando il testo incriminato dell’ex presidente Usa, e le reazioni riportate sopra. Si distingue tra tutti Il Foglio, unica testata che dà credito alle accuse di Biden, sostanziandole con un elemento di prova su cui anche Formiche.net si era soffermato a suo tempo. Con un articolo firmato da Maurizio Stefanini, la testata diretta da Claudio Cerasa richiama il rapporto dell’Atlantic Council presentato al Centro studi americani di Roma il 15 novembre. Lo studio si intitola “The Kremlin’s Trojan Horses 2.0: Russian Influence in Greece, Italy, and Spain” ed è un documento circostanziato che attesta l’esistenza di un network russo che opera nei paesi mediterranei con il fine di condizionare il dibattito pubblico.
In merito al nostro Paese e alla riforma costituzionale, il rapporto sottolinea come “nell’ottobre 2016 alcuni media internazionali russi iniziarono a fare campagna per indebolire il voto per il Sì (pro-Renzi) al referendum del dicembre 2016 sulle riforme costituzionali”. Un episodio significativo richiamato dall’Atlantic Council risale al 30 ottobre 2016, quando l’emittente russa in lingua inglese Russia Today e la sua rete di siti web “hanno presentato falsamente una immagine di una manifestazione per il Sì di migliaia di persone a Roma come una protesta anti-governativa in sostegno del No al referendum, e la fake news fu diffusa rapidamente da una quantità di siti web e account di social media pro-M5s”. Lo stesso rapporto ricorda inoltre, scrive Il Foglio, “che la delegazione dei Cinque stelle guidata da Vito Petrocelli andò a Mosca il 14 novembre 2016 e tenne una conferenza stampa in favore del No in un centro direttamente controllato dal Cremlino”.
Le affermazioni di Joe Biden e Michael Carpenter non sono dunque campate per aria. La loro posizione, d’altro canto, non può essere compresa senza fare riferimento a quanto successo nella campagna presidenziale americana 2016. In questo caso, le prove delle interferenze russe sono abbondanti e sono state snocciolate dai legali di Facebook, Twitter e Google nelle audizioni delle commissioni parlamentari Usa sull’intelligence. Come riferì a quel tempo Formiche.net, emerse con chiarezza la penetrazione raggiunta dalla propaganda pro-Trump sponsorizzata dal Cremlino: “126 milioni gli americani che hanno visto, messo il proprio “like” e condiviso gli 80 mila post acquistati su Facebook da un’azienda, la Internet Research Agency, che fa da schermo ad agenti vicini a Vladimir Putin; 288 milioni di visualizzazioni per i 1,4 milioni di tweet disseminati dai 36 mila bot azionati da uomini vicini al presidente russo, cui vanno aggiunti i cinguettii diffusi sulla piattaforma dai 2.700 account aperti dalla Internet Research Agency; un migliaio di video e 43 ore di contenuti faziosi diffusi su YouTube dai 18 canali aperti da persone ‘probabilmente legate’ alla nomenklatura russa ; 120 mila immagini e post veicolati dal social più gettonato dalla gioventù statunitense, Instagram”.
In America, la disinformatia russa è tema rovente. Che ha spinto alcuni parlamentari, in testa il senatore repubblicano John McCain, a presentare una proposta di legge finalizzata a regolamentare la propaganda sui social e a impedire che si ripetano casi come quello delle presidenziali 2016. Nessuno, negli Stati Uniti, sottovaluta l’intenzione del Cremlino di destabilizzare il quadro politico dei paesi occidentali favorendo movimenti e tematiche populiste come quelli che caratterizzano il presidente Trump, la Lega Nord e il Movimento 5 Stelle.
In Italia, la discussione è appena cominciata. Ed è facile pensare che, man mano che si avvicina il voto della prossima primavera, ci saranno altre occasioni per sottolineare come oggi, nell’era dei social e dei troll, la manipolazione ad arte del web è un tema da non prendere sotto gamba.