“L’Italia non ha pagato il riscatto per la liberazione di Silvia Romano. A sganciare il denaro è stato il Qatar in una triangolazione che vede coinvolti anche Turchia, Emirati Arabi Uniti e Iran”. Che cosa ha scritto il sito Africa ExPress diretto da Massimo A. Alberizzi, ex inviato del Corriere della Sera in contesti di guerra e in particolare in Africa
Sulla liberazione di Silvia Romano si è scritto di tutto e il contrario di tutto. Il problema è che le polemiche dei giorni scorsi – quelle sul riscatto presumibilmente pagato ai terroristi somali degli Shebaab e sul ruolo svolto dai servizi segreti turchi – potrebbero portare nella direzione sbagliata.
Se si legge anzi lo Speciale di Africa ExPress scritto da Massimo A. Alberizzi e Monica A. Mistretta, si scopre che le parole scorse a fiume in quei giorni concitati potrebbero essere state tutte vane, e che della verità di questa storia intrecciata si possiedono solo porzioni infinitesimali.
“L’Italia – è ad esempio l’attacco choc dell’articolo dei due giornalisti – non ha pagato il riscatto per la liberazione di Silvia Romano. A sganciare il denaro è stato il Qatar in una triangolazione di dollari, armi, garanzie politiche e soprattutto uranio. Un intrigo che vede coinvolti, oltre al piccolo Paese del Golfo, anche Turchia, Emirati Arabi Uniti e Iran”.
Un intrigo di cui Alberizzi e Mistretta tracciano le origini alle prime fasi del rapimento, quando la nostra intelligence brancolava nel buio sul luogo e la sorte di Silvia Romano. Un disorientamento che i giornalisti lasciano spiegare alle parole di una delle loro fonti in Kenya: “In Eritrea, Etiopia, Libia, Somalia eravamo i più forti. La nostra rete è stata smantellata, distrutta e ora in quelle aree contano Cina, Turchia ed Emirati. Ormai il nostro ruolo è ridotto a cercare un partner collegato e chiedere di lavorare in vece nostra. Poi pagheremo il dovuto”.
Seguono lunghi mesi di silenzio e angoscia, spezzati secondo i due giornalisti dalla lettera che la loro testata ha indirizzato al premier Giuseppe Conte lo scorso capodanno lasciando intendere che la pista da seguire per la liberazione di Silvia passava per gli Emirati Arabi Uniti che – scrivono ancora Alberizzi e Mistretta “in Somalia hanno costruito una importante rete di informatori”.
I primi contatti tra la nostra intelligence si rivelano positivi, ma portano in dote una condizione sgradevole: “Siamo in grado di cercare e trovare la giovane e vi aiuteremo – è la risposta che, si presume, le spie emiratine forniscono ai colleghi italiani – ma a patto che voi cambiate alleanza in Libia. Smettetela di appoggiare il governo di Al Serraj. Sostenete invece con noi il generale Khalifa Haftar”.
A quel punto la nostra intelligence avrebbe tentato, su suggerimento degli americani, una seconda strada, quella turca, che in Somalia dispone, se non di un apparato di intelligence capillare come quello degli Emirati, di un nutrito contingente militare schierato in una imponente base nel centro di Mogadiscio.
Il contatto, anche in questo caso, avrebbe avuto un riscontro positivo, accompagnato però dal consueto caveat: vi aiuteremo ma, scrivono il giornale on line Africa ExPress diretto dallo stesso Alberizzi, “a condizione che Roma cessi gli attacchi a Erdogan, considerato un dittatore che viola i diritti umani e sbatte in galera i giornalisti, e accresca l’appoggio a Serraj in Libia”.
Ma è a quel punto che la nostra intelligence compie la terza mossa che, per quanto audace, si rivelerà decisiva: chiedere aiuto al Qatar.
Doha, scrivono i giornalisti, “appare subito come ottimo strumento per cavare le castagne dal fuoco”. Non ci sono solo gli ottimi rapporti a tutti i livelli con Roma, ma c’è soprattutto la commessa ordinata dall’emiro a Leonardo e i battelli militari in consegna dalla Fincantieri.
Per quanto nel suo articolo taccia sul fatto se la scelta di contattare il Qatar sia stata una libera iniziativa della nostra intelligence o di qualcun altro, o se sia il frutto di un’imbeccata dei turchi, Africa ExPress ha un suggerimento e risponde al nome di Luciano Carta.
Che ci sia lo zampino dell’ex capo dell’Aise nella cooperazione instaurata tra le due intelligence lo dimostra la sua presenza al fianco del presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella visita di stato fatta a gennaio in Qatar anche quando il nostro capo dello Stato si trova a colloquio col suo omologo, lo sceicco Tamin bin Hamad al-Thani.
Ed è proprio in questo frangente che si sarebbe consumato il gran baratto, secondo Africa ExPress.
In tutto questo schema si intravede tuttavia un problema che Alberizzi e Mistretta mettono debitamente in evidenza: gli americani hanno mangiato la foglia e non hanno affatto apprezzato.
La ragione dell’ira Usa è molto semplice e rimanda proprio a quelle miniere ricche di un materiale di cui il Qatar, privo di centrali nucleari e di un programma atomico, non sa che farsene, salvo metterlo a disposizione di un Paese con cui nutre buoni rapporti: l’Iran.
Un paese cioè che di quel prezioso metallo potrebbe far buon uso per quel famoso programma nucleare che qualcuno negli States ritiene ancora sia nel cassetto dei sogni degli ayatollah – e che per questo motivo impedisce la normalizzazione dei rapporti tra i due stati.
Questa, insomma, la versione di Alberizzi e Mistretta. Che, al pari delle altre, costringe a contemplare una serie di verità scomode dietro la superficie patinata delle copertine che hanno salutato gioiose la liberazione di una giovane italiane dalle grinfie di un feroce gruppo terroristico.