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Il passo falso che degrada il Capitano

Pubblicato il 19/08/2019 - Il Piccolo

Se quella che ha scosso le ferie degli italiani è stata definita la crisi più pazza del mondo un motivo c’è e rimanda alla mossa kamikaze dell’8 agosto del leghista Matteo Salvini. Quando, terremotando il governo gialloverde, ha chiesto elezioni subito e un mandato pieno a guidare il Paese, il leader del Carroccio ha chiaramente sottovalutato le reazioni uguali e contrarie destinate a scattare in un Parlamento dove il suo partito conta meno di un quinto dei voti.

Tradizione trasformista

In un Paese che vanta una sedimentata tradizione trasformista era ovvio che, tra i ranghi dell’altro 80% dei rappresentanti del popolo, si animasse il più naturale degli istinti: la sopravvivenza. Così, davanti all’incognita di una rielezione che, nel caso di gran parte della squadra stellata, era addirittura preclusa a causa del ben noto vincolo dei due mandati, deputati e senatori sembrano aver deciso in maniera bipartisan di salvare, assieme a sé stessi, la legislatura.

Verso la soluzione

La soluzione prescelta per neutralizzare il colpo di mano del Ministro dell’Interno e dare al Paese un nuovo governo la conosceremo solo quando, domani pomeriggio, il premier Giuseppe Conte avrà fatto le sue comunicazioni al Senato e, immediatamente dopo, sarà salito al Colle per presentare le sue più che probabili dimissioni. Dietro l’orizzonte di questo e dei successivi passaggi che si consumeranno sotto la regia del presidente della Repubblica sembra profilarsi però un boccone indigesto per il Capitano leghista: la nascita di un esecutivo giallorosso che terrà insieme M5S e Pd con la quasi certa stampella di Liberi e Uguali (e, chissà, di qualche “responsabile” reclutato tra i seguaci di Berlusconi). Sono le stesse forze che hanno votato insieme in aula per bocciare la proposta della Lega di calendarizzare subito la mozione di sfiducia a Conte, materializzando quella maggioranza alternativa che potrebbe cristallizzarsi ora nel “progetto di lunga durata” benedetto ieri da Romano Prodi o, se si dovesse seguire invece la formula evocata da Matteo Renzi, in un governo istituzionale chiamato solo a traghettare il Paese verso il voto dopo averne messo in sicurezza i conti.

L’ultima parola su queste ed altre ipotesi spetterà naturalmente al presidente Mattarella, chiamato a tenere conto anche dell’improvvisa resipiscenza di Salvini, almeno a parole pronto ora a ricucire con l’ex alleato grillino pur di rimanere al Viminale e non farsi relegare all’opposizione. Peccato che, tra le fila degli ex partner, si contino con il lanternino quanti sono disposti a riabbracciare colui che, in quattordici mesi di coabitazione a Palazzo, li ha indotti a sposare politiche che hanno avuto il duplice effetto di disorientare la base grillina e svuotare progressivamente i consensi della macchina guidata da Luigi Di Maio.

Il caso Open Arms

Vista sotto questa luce, la lite furibonda tra Conte e Salvini sul nodo migranti e sul caso Open Arms appare tutt’altro che casuale. È il segnale più eloquente di discontinuità che il premier voluto dal M5s poteva lanciare ai nuovi alleati su una materia che aveva visto lui e l’intera compagine di governo pentastellata accodarsi alla narrativa leghista dei porti chiusi ai profughi e della demonizzazione delle Ong. Che per l’avvocato del popolo sia anche il preludio ad un bis, oppure – come qualcuno sostiene –  il viatico per trasferirsi a Bruxelles nelle vesti di Commissario Ue, a questo punto lo sapremo presto.

Marco Orioles

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