Il senso del noto adagio “quando i nodi vengono al pettine” deve essere molto chiaro adesso a Donald Trump.
A un leader, cioè, cui l’emergenza Covid-19 ha causato – come ha scritto ieri Politico, mettendo il dito nella piaga – un repentino cambio di atteggiamento, vedendolo passare dalle esternazioni quasi-negazioniste fatte ancora a metà di questa settimana alla proclamazione dello Stato di Emergenza nazionale effettuata meno di 48 ore dopo dal giardino delle rose della Casa Bianca.
E chissà cosa staranno pensando i cittadini americani dopo aver visto il loro presidente passare in appena due giorni da conferenze stampa segnate da vigorose strette di mano ai reporter e dichiarazioni della serie “il virus se ne andrà” ad eventi annunciati, come è accaduto ieri, da un tweet dello stesso The Donald in cui si esalta la prescrizione della “distanza sociale”, e durante i quali viene obbligatoriamente misurata la temperatura a tutti i presenti (col risultato di allontanare senza troppi salamelecchi il malcapitato giornalista con una linea di febbre in più) ivi incluso lo stesso capo della Casa Bianca.
È quanto mai comprensibile, in tali circostanze, il clima ruvido tra governo e stampa, ben esemplificato dalle domande secche e aggressive rivolte ieri dai reporter all’uomo cui è stato chiesto conto e ragione delle mani allungate disinvoltamente fino a poche ore prima verso amici e conoscenti.
Una domanda velenosa cui il magnate non ha potuto far altro che rispondere maledicendo questa “abitudine” e promettendo solennemente di farne a meno.
E chissà se la decisione di comunicare proprio in quel momento di avere fatto il test per il Coronavirus sia tutta farina del sacco di un tycoon sinceramente preoccupato per la sua salute minacciata da un contatto ravvicinato di troppo – quello con l’addetto stampa del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, risultato positivo al Covid-19 pochi giorni dopo aver fatto tappa alla Casa Bianca – o sia una mossa dei suoi Zar della comunicazione alla disperata ricerca di un modo con cui tirare fuori dai guai (elettorali) il loro datore di lavoro.
Sta di fatto che, non appena fatta la rivelazione, i cronisti presenti in sala gli hanno immediatamente chiesto quando sarebbe arrivato il responso, sentendosi rispondere che ci sarebbero voluti uno o due giorni e che lui, quel test, l’ha fatto “solo perché la stampa sta impazzendo”.
Fortunatamente per gli editori, i reporter non hanno dovuto attendere a lungo: già nel tardo pomeriggio di ieri il medico personale di Trump, Sean P. Conley, diffondeva una nota che, oltre a rendere noto il risultato negativo del test, specificava che il presidente “rimane asintomatico a una settimana dal pranzo con la delegazione brasiliana (nel suo resort) di Mar-a-Lago”.
Il sollievo per le condizioni di salute del presidente nulla ha tolto, tuttavia, all’emergenza che preme in queste ore sugli Usa e che è ben testimoniata dalle parole pronunciate al fianco di Trump durante la conferenza stampa da Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Disease, per il quale “non abbiamo ancora raggiunto il nostro picco” di casi di Covid-19 e ci saranno ancora molti contagi e decessi da contare specialmente tra la popolazione anziana.
Il bollettino della giornata sul Covid-19 non lasciava in effetti spazio all’ottimismo, con il numero di casi saliti a 2.500 (con un aumenti di 400 unità in soli tre giorni), e i primi morti registrati in Stati finora risparmiati dal flagello come Louisiana, New York e Virginia.
Ed è ormai solo questione di ore perché l’unico dei 50 Stati dell’Unione ancora virus-free, la West Virginia, effettui la prima diagnosi positiva in assoluto (ieri in questo Stato sono state testate 36 persone, di cinque delle quali si attende ancora il responso)
In tutto il paese, frattanto, si diffondono preoccupazione e panico per il virus e per la possibilità tutt’altro che remota che le conseguenze dell’epidemia siano disastrose anche da un punto di vista non sanitario.
Si prenda, ad esempio, il cruccio del sindaco di New York Bill De Blasio, che ha resistito alla richiesta di chiudere le scuole sull’onda delle proteste degli stessi operatori scolastici consapevoli che molti dei ragazzi indigenti che rimarranno a casa non mangeranno neanche il pasto erogato dalle mense scolastiche.
Non si contano più, frattanto, le serrate nel Paese del Dio Consumo: ieri Walmart, la più grande catena di distribuzione degli Usa e del Mondo, ha annunciato la riduzione degli orari di apertura dei propri 4.700 punti vendita, mettendosi sulla scia delle aziende della concorrenza come Publix, Giant, Stop & Shop che l’hanno già fatto.
Se c’è un posto dove le disposizioni dell’emergenza hanno generato il caos, sono però gli aeroporti. Ieri il New York Times raccontava la confusione imperante negli scali del Paese dove sono entrate in vigore le restrizioni ai voli volute dalla Casa Bianca e sono scattati i più ferrei controlli sanitari sui passeggeri che si sono ritrovati così incolonnati in lunghe ed estenuanti code.
Tra gli effetti dell’emergenza, vi sono però anche quelli segnalati ieri in un lungo articolo del NYT dedicato alla vita al tempo del Coronavirus. Si segnalano, in particolare, i ritorni nel nido paterno dei millennial in fuga dalle città assediate dal virus, e gli ampi spazi liberi a disposizione degli americani che praticano il rito dello jogging.
Ma proprio come in Italia, non tutti negli Usa desiderano rischiare la sorte avventurandosi fuori. A tutti costoro, e specialmente a quanti sono stati danneggiati nel portafoglio dal Covid-19, la Federal Communication Commissiom ha fatto sapere che i maggiori Internet provider del Paese – inclusi i colossi Comcast e AT&T –non taglieranno loro la linea domestica qualora fossero inadempienti con l’ultima bolletta.
Perché, come si diceva una volta, una telefonata allunga la vita.