Fortemente voluto dalla Casa Bianca, il primo summit virtuale tra Joe Biden e il suo collega cinese Xi Jinping (che non esce dal suo Paese dallo scoppio della pandemia) è un fatto positivo perché getta acqua sul fuoco di una relazione in cui le occasioni di scontro si sono moltiplicate a scapito degli ambiti di cooperazione. Nel momento in cui le due superpotenze rischiano un conflitto nel Pacifico, è senz’altro bene che si riscoprano le virtù della diplomazia e si persegua la via del confronto franco e aperto, condotto al massimo livello, sui temi che le dividono. Come si legge nel comunicato finale emanato da Washington, l’incontro è servito a sottolineare l’importanza del “gestire responsabilmente la competizione” e i “rischi strategici”, evidenziando quanto sia necessario uno sforzo da parte di entrambe le parti, anche in termini di maggiore comunicazione reciproca, “per assicurare che la competizione non deragli in un conflitto”. Ma prima di pensare che l’America di Biden stia perseguendo qualche forma di appeasement nei confronti di Pechino, sarà bene leggere il resto del comunicato, nel quale si ribadiscono a chiare lettere i punti fermi e le linee rosse degli Usa. A puntualizzare che la preoccupazione principale dell’America risiede nella natura autoritaria del regime cinese e nella sua condotta sempre più assertiva in ambito internazionale, l’Amministrazione Biden precisa che si adopererà affinché “le regole del gioco del XXI secolo facciano avanzare un sistema internazionale che sia libero, aperto ed equo”. Emerge così la volontà degli Usa di opporsi ad ogni tentativo di revisione dell’ordine globale che attenti alle sue fondamenta democratiche e liberali. Il testo affronta anche, senza giri di parole, il nodo dei diritti umani facendo esplicito riferimento alla situazione dello Xinjiang, del Tibet e di Hong Kong. E nulla concede alle rivendicazioni territoriali che la Cina avanza nei mari ad essa vicini: è nota in tal senso la predilezione di Washington per un Indo-Pacifico in cui viga la libertà di navigazione. Questa fermezza americana traspare anche sul punto cruciale di Taiwan. Dopo le recenti dichiarazioni di Biden che ha chiarito come l’America interverrebbe in caso di invasione cinese dell’isola, il summit è stato l’occasione per fare un piccolo passo indietro ribadendo la posizione tradizionale degli Usa: nel confermare che si atterrà alla politica cosiddetta dell’“una sola Cina”, l’Amministrazione Biden coglie l’occasione per enfatizzare “la sua forte opposizione ad ogni azione unilaterale per cambiare lo status quo o minare la pace e la stabilità nello stretto di Taiwan”. Non è cambiato nulla, insomma, tra Usa e Cina a parte la volontà di parlarsi direttamente per stemperare il clima e misurare e possibilmente mitigare le reciproche distanze sui dossier aperti. È di buon auspicio, in questo senso, l’intesa raggiunta nel vertice, e già avviata con gli accordi presi alla Cop26 di Glasgow, sulla necessità di cooperare in ambiti come il cambiamento climatico dove la conflittualità come è noto non porta frutti.
Il dialogo Usa Cina
Pubblicato il 27/11/2021 - Messaggero Veneto, Il Piccolo
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