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Il caso Peng Shuai

Pubblicato il 03/12/2021 - Messaggero Veneto

Niente più gare di tennis femminile in Cina e a Hong Kong. La clamorosa decisione della WTA, l’associazione mondiale delle tenniste, arriva in seguito al deflagrare del caso di Peng Shuai, l’ex numero 1 del doppio femminile rimasta impigliata nelle maglie del regime dopo aver denunciato lo scorso 2 novembre con un post sui social – rimosso dopo appena 30 minuti dalla censura di stato – di essere stata fatta oggetto di molestie sessuali da parte dell’ex vicepremier ed ex vicepresidente del partito Zhang Gaoli. L’accusa era ovviamente eclatante perché Zhang, pur ritiratosi dalla scena pubblica, è stato una delle personalità più influenti del Partito al punto da sedere nel Politburo accanto al presidente Xi Jinping. Si capisce in questo senso la preoccupazione del mondo sportivo quando, per alcuni giorni, Peng era addirittura scomparsa dai radar senza spiegazioni plausibili. Ma chi ha deciso di togliere in questo modo di imbarazzo il partito non aveva fatto i conti con la pronta e compatta mobilitazione delle star del tennis mondiale, come Serena Williams e Novak Djokovic, e di altri grandi nomi dello sport globale, che si sono attivati sui social condividendo foto della tennista sotto l’hashtag “WhereIsPengShuai”. Quando il caso aveva ormai raggiunto le pagine principali della stampa internazionale, Peng era poi ricomparsa in una videochiamata con il presidente del Comitato Olimpico Internazionale che si voleva rassicurante ma che in realtà ha confermato l’impressione dei più che la tennista sia ostaggio del partito. Da qui la ferma decisione della WTA di andare al muro contro muro, sfoderando un’arma, quella del boicottaggio, destinata ad avere anche pesanti ripercussioni economiche. Il caso di Peng esplode nel momento peggiore per la Cina, quando si moltiplicano le voci favorevoli al boicottaggio dei Giochi Olimpici invernali di Pechino in programma a febbraio. La Casa Bianca ha già fatto trapelare l’intenzione di essere alla testa di una campagna che potrebbe danneggiare non poco un evento dal quale il regime spera di ricavare credito e prestigio internazionale. Se effettivamente qualche Paese opterà alla fine per il boicottaggio delle Olimpiadi, non sarà certo motivato dalle sole sorti di Peng: è lungo l’elenco dei misfatti attribuiti a Pechino che potrebbero spingere a contemplare questo passo. Pesa ad esempio il dossier degli Uiguri, la minoranza islamica insediata nella regione occidentale dello Xinjiang, che è oggetto di politiche repressive talmente drastiche da giustificare secondo l’ottica di molte Ong e analisti l’etichetta di genocidio. Proprio in queste settimane la diaspora uigura nel mondo sta celebrando in un apposito tribunale indipendente un processo ai metodi orwelliani del regime, portando prove inoppugnabili dell’esistenza del massiccio ricorso al lavoro forzato della popolazione dello Xinjiang. Sarà interessante osservare in tal senso la posizione della Germania, la cui nuova ministra degli Esteri Annalena Baerbock ha già dichiarato che il governo tedesco guidato da Olaf Scholz “dovrebbe seriamente dare un’occhiata alle Olimpiadi”.

 

 

CinaMessaggero Veneto
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