Cinquantadue anni dopo lo sbarco dei Marines, che inaugurò la stagione funesta dell’impegno militare americano in Indocina, Donald Trump è approdato ieri nel porto vietnamita di Da Nang per il forum Apec portando con sé la nuova agenda della superpotenza a stelle strisce, scesa precipitosamente dal carro della globalizzazione per montare in sella al cavallo nazionalista dell’America First. Ed è giallo sul mancato vertice tra The Donald e Vladimir Putin, annunciato alla vigilia ma venuto meno perché, dicono i retroscena, non si è raggiunta un’intesa sui temi da trattare e, soprattutto, per la natura radioattiva dei rapporti tra Usa e Russia, contaminati dalle interferenze del Cremlino nelle elezioni presidenziali del 2016 e dalle manovre geopolitiche di Mosca contro gli interessi americani.
L’intervento del presidente Usa era il momento più atteso a Da Nang, dove i ventuno rappresentanti dei paesi dell’Asia e del Pacifico sono convenuti per rilanciare l’intesa sul libero commercio dopo il dietro front degli Stati Uniti, usciti a gennaio dalla Trans-Pacific Partnership. Di fronte ad una platea scettica, Trump ribadisce le linee generali del suo pensiero economico: no al multilateralismo, sì alle intese bilaterali in cui i patti sono chiari, specie quando sono forgiati da un uomo che non si fa gabbare come i suoi predecessori.
“Non tollereremo più cronici abusi commerciali”, dice il capo della Casa Bianca, reiterando il messaggio lanciato nelle tappe precedenti del suo lungo tour asiatico che l’ha portato a Tokyo, Seul e Pechino. “Non permetteremo più che l’America sia sfruttata”, è il mantra, fulcro di una visione antipatizzante della globalizzazione in cui ad avvantaggiarsi sono tutti tranne che gli Usa, vittime di un commercio non equo e condotto secondo regole sbagliate, come quelle elaborate in sede Wto. “D’ora in poi”, tuona il presidente, “sarà sempre America First, come mi aspetto che ognuno di voi in questa sala metta il proprio paese al primo posto”. “Questo è il messaggio che vi porto”, sottolinea, enunciando le linee guida delle relazioni economiche che l’America trumpiana è disponibile ad intessere: “faremo accordi commerciali bilaterali, non entreremo più in patti larghi che ci legano le mani e vengono violati danneggiandoci”. È un riferimento, tutt’altro che velato, alla Tpp, stracciata da Trump nelle prime battute della sua presidenza ma portata avanti dagli altri undici contraenti, che approfittano dell’incontro di Da Nang per confermare il percorso comune nonostante la diserzione del socio americano.
Nella photo opportunity della giornata, Donald Trump si posiziona a fianco dell’altro ospite illustre, Vladimir Putin, entrambi con la casacca blu in stile vietnamita come vuole il cerimoniale delle assise asiatiche. A quel punto però è già diventato un caso il mancato faccia a faccia tra i due leader. La portavoce di Trump, Sarah Huckabee Sanders, parla di una mancata coincidenza tra “le due agende”, chiarendo il punto della discordia su cui aveva fatto luce giovedì il segretario di Stato Rex Tillerson, che disse che “non siamo ancora certi che ci siano i ‘deliverables’ per giustificare il bilaterale ufficiale”. Si è rivelato impossibile trovare un’intesa sui due dossier chiave su cui secondo Tillerson sarebbe stato opportuno un confronto: “l’assetto della Siria dopo la sconfitta dell’Isis, e l’Ucraina”.
La situazione in Siria è arrivata ad un punto di svolta, con lo Stato islamico sconfitto su tutti i fronti, ma manca una visione comune dell’assetto del paese. La permanenza di Assad al potere continua a dividere le due superpotenze alla vigilia della ripresa dei colloqui di Ginevra, chiamati a dipanare la matassa. Quanto all’Ucraina, Trump ha firmato controvoglia ad agosto le nuove sanzioni contro Mosca elevate dal Congresso, che hanno messo in un angolo un presidente che covava il desiderio di una distensione, sortendo così il risultato di rinnovare la tradizionale ostilità anti-russa dell’establishment americano. Non a caso, interrogato dai reporter sul mancato bilaterale tra i due leader, il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha detto che “Trump voleva incontrare Putin: un desiderio espresso personalmente dal presidente Usa. Cosa dicono i suoi burocrati da quattro soldi non lo so, chiedete a loro”.