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I 33 soldati turchi morti e il ricatto di Erdogan all’Europa sui profughi

Pubblicato il 01/03/2020 - Messaggero Veneto

Coronavirus o no, la guerra non si ferma e non va in quarantena. Questa legge triste ma ferrea vale certamente nel caso dei due conflitti più prossimi all’Italia, quelli in Libia e in Siria. Due Paesi dove anche nei momenti clou dell’emergenza sanitaria globale da Covid-19 si è continuato a sparare, uccidere e morire. E dove sono in corso vere e proprie catastrofi umanitarie che, se non affrontate in tempi rapidi, potrebbero presto produrre i loro effetti qui sotto la forma di nuovi flussi di rifugiati.

Questo, almeno, è il monito insito nelle cronache delle ultime 48 ore dalla Siria. Un Paese dove non solo la guerra civile scoppiata nella primavera 2011 non si è mai fermata, ma dove è in atto un’escalation delle ostilità che ha già messo in fuga un milione di civili. Uomini, donne e bambini già condannati a peripezie inenarrabili e che ora, per scampare alle bombe, potrebbero riversarsi in quella Rotta Balcanica di cui conserviamo ricordi ancora vividi e niente affatto piacevoli. Questo è infatti il ricatto formulato esplicitamente dalla Turchia dopo aver patito venerdì nella provincia siriana di Idlib – l’ultima ridotta dei ribelli anti-regime risparmiata dalla reconquista da parte delle forze governative e dei loro alleati – la più grave perdita da quando è intervenuta militarmente nel conflitto.

È di 33 soldati turchi morti il bilancio del bombardamento compiuto dall’aviazione siriana su postazioni presidiate, secondo l’accusa di Damasco, da un mix di forze regolari di Ankara e miliziani islamisti. La reazione a quello che la stampa turca ha prontamente definito il “martirio” dei propri uomini in divisa è stata pronta e veemente. E non si è limitata ad incenerire cinque elicotteri di Damasco, decine tra carri armati e mezzi corazzati e almeno quaranta uomini.

La risposta più inquietante è arrivata non dall’esercito che Ankara schiera a Idlib a difesa dell’ultima porzione di Siria in cui covano le ceneri della ribellione, ma dalle stanze del governo. Da cui sono partiti in direzione Ovest due messaggi che rappresentano altrettanti bruschi risvegli per noi. Senza sottovalutare la pretesa di una risposta militare collettiva da parte dell’Alleanza Atlantica – che, per quanto infondata, ha generato un vivace quanto surreale dibattito in seno alla Nato – a far suonare il campanello d’allarme è stata proprio la minaccia del presidente turco Erdogan di permettere alla sfortunata popolazione di Idlib di valicare il confine con la Grecia e incamminarsi verso l’Europa. Un annuncio che ha spinto seduta stante le autorità greche (e bulgare) a rimilitarizzare le proprie frontiere in cui ieri si erano presentate le prime ondate di disperati al grido di “aprite i confini”. E che ha mandato nel panico l’establishment Ue.

Non ci vorrà molto tempo per capire se questo Déjà vu si tradurrà in una nuova emergenza rifugiati in Europa. La lezione da trarre è in ogni caso chiara: il virus chiamato guerra non va in vacanza e rappresenta sempre quella formidabile minaccia da non trascurare nemmeno in un momento di fibrillazione come questo.

Erdoğan Recep TayyipMessaggero VenetoRussiaSiriaTurchia
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