Di Maria Ludovica Schinko
Sono 107mila e 917 gli stranieri presenti nella nostra regione. Di questi, 32.069 sono provenienti da Paesi musulmani. L’incidenza dei musulmani sul totale degli stranieri è, quindi, del 29,7 per cento. I dati si riferiscono al fine 2013. Nel 2007, a Udine, in Borgo Stazione, un algerino ha inseguito un sudamericano, sgozzandolo barbaramente nel sottopassaggio di via Cernaia. Nel 2010, a Montereale Valcellina, un marocchino ha trucidato la figlia, perché aveva costumi troppo occidentali e un fidanzato ‘infedele’. Lo scorso novembre, a San Daniele, ha fatto scalpore la denuncia di maltrattamenti su una donna da parte del marito violento: marito musulmano. E’ di questi giorni, infine, la richiesta di aiuto alle forze dell’ordine da parte dell’imam di Pordenone. La guida spirituale dei fedeli islamici, 800 anime nel Friuli occidentale, si è reso conto di non riuscire più a tenere sotto controllo il suo ‘gregge’. Episodi isolati i primi, reazione dovuta ai fatti di Parigi quest’ultimo. Certo è che, anche nella nostra regione, la paura non manca. E’ giustificata? Lo abbiamo chiesto a Marco Orioles, sociologo, saggista e autore di numerose pubblicazioni sull’Islam. L’ultima, che sarà presentata a Roma il 3 marzo, s’intitola ‘E dei figli, che ne facciamo?’.
Che ne facciamo, appunto?
“Il 3 gennaio scorso ho trasmesso il mio lavoro sulle seconde generazioni di immigrati alla casa editrice. Una larga parte riguarda proprio un’analisi della presenza musulmana in Francia. Dopo la tragedia di Parigi del 7, mi sono sentito una Cassandra. Rispetto all’Italia e alla nostra regione in particolare, le differenze sono enormi. In Francia c’è la più numerosa minoranza musulmana d’Europa. Le difficoltà d’integrazione dei giovani sono dimostrate dal fatto che il maggior numero di ‘foreign fighters’ partiti quest’anno per combattere in Siria e Iraq proviene proprio dalla Francia”.
Sono francesi di seconda generazione anche gli attentatori di Charlie Hebdo e del Market Kasher. Perché tanto odio?
“Perché l’integrazione non funziona a causa di problemi strutturali e culturali”.
Può spiegare meglio?
“I giovani musulmani sono vittime di diseguaglianze economiche, marginalità, ghettizzazione e discriminazione. Alla ‘banlieunizzazione’ rispondono, facendo motivo di orgoglio di questa emarginazione. L’odio li fa sentire più forti”.
Questa la struttura. Dal punto di vista culturale, invece?
“La difficoltà d’integrazione s’innesta nell’identità islamica. Questo è l’identikit anche degli attentatori del 7 luglio 2005 a Londra. Giovani europei, ma emarginati, che reagiscono, unendosi a predicatori estremisti e radicalizzandosi fino a combattere la guerra santa. Rispetto al passato, però, oggi a questi giovani non serve una guida in carne e ossa. Nei social network trovano tutti i messaggi propagandistici cui credere e nei quali riconoscersi”.
In Italia ci sono le stesse condizioni?
“La grande differenza rispetto alla Francia è che da noi non c’è una minoranza musulmana compatta. Assistiamo a una polverizzazione che non favorisce la solidarietà interna e neppure il radicarsi di forze ideologiche. Ogni gruppo nazionale ha le proprie peculiarità e non c’è collaborazione tra di loro”.
Per noi è un bene?
“Direi di sì. Non abbiamo banlieu. Il quartiere più multietnico di Udine, per esempio, è Borgo Stazione. Niente a che vedere con Breadford, che si dice conti più pakistani di Islamabad”.
Niente di simile in regione, ma l’imam di Pordenone ha detto che ci sono movimenti invisibili, anche in Friuli, completamente fuori controllo. E’ giusto allora avere paura?
“Il mondo intero è sfidato da un’ideologia fanatica che non nasce oggi, ma che oggi ha trovato barbari esecutori. Da osservatore e conoscitore della comunità islamica in Friuli posso dire che da noi i giovani sono troppo distratti dalla Juventus o dall’ultimo modello di sneakears, per seguire lontane chimere. Bisogna ricordare che fare la guerra santa significa riscattarsi da un’esistenza anonima e misera, anziché languire nella sottooccupazione”.
Cosa si deve fare per evitarlo?
“Compito dell’Europa e quindi anche della nostra regione, sarebbe quello di creare le condizione economiche per garantire un tenore di vita tale che i giovani non debbano considerare altre soluzioni di riscatto”.
“La scuola può essere la vera arma”
Stando al modello americano, gli strumenti per l’integrazione delle seconde generazioni sono la scolarizzazione e le amicizie autoctone. La terza generazione, così facendo, potrà arrivare alla naturalizzazione. La nostra regione è alla seconda ed esistono ancora paura e marginalizzazione. “Sta a noi – spiega Orioles – evitare fenomeni come quello della scuola Dante di Udine. Bisogna evitare la ghettizzazione. D’altra parte, i docenti invitano i ragazzi stranieri a seguire percorsi professionali. Questa scelta condanna anche le seconde generazioni a rimanere nei piani bassi della società, dequalificati. La scuola dovrebbe essere più propulsiva per aiutare i giovani a emanciparsi. Ovviamente, sta ai governi investire di più nella formazione”.