UDINE «Il rischio che gli immigrati di seconda generazione, anche in Friuli, possano lasciarsi sedurre grazie al web dalla propaganda jihadista è concreto, come nel resto d’Europa. Ragazzi che parlano la nostra lingua, inseriti nella nostra società. Possono essere compagni di scuola dei nostri figli e come loro si vestono e sono cresciuti guardando i Simpson, ascoltando musica hip hop. Si tratta di soggetti impossibili da monitorare. C’è da mettersi le mani nei capelli. La propaganda jihadista ha un effetto magnetico sui giovani: offre utopia, “avventura”, e grazie a internet arriva direttamente nelle camerette dei ragazzi». È un quadro inquietante quello che emerge dall’analisi del sociologo udinese Marco Orioles, già docente e dottore di ricerca in Sociologia all’università del capoluogo friulano. In un periodo in cui sale anche nella nostra regione l’attenzione degli investigatori per individuare possibili legami con il fondamentalismo combattente (nel 2015 sono stati effettuati fino ad oggi accertamenti su almeno cinque islamici residenti nel Fvg) cresce la preoccupazione anche a Udine e provincia per i possibili effetti della propaganda jihadista sui giovani. Tema che Orioles ha sviluppato nel suo libro intitolato “E dei figli, che ne facciamo? L’integrazione delle seconde generazioni di immigrati”, pubblicato da Aracne e che sarà approfondito anche in un prossimo libro, in uscita in giugno. «Siamo di fronte a una forma di terrorismo internazionale il cui volto e le cui braccia sono di cittadini europei che hanno assorbito fin dall’infanzia la cultura occidentale ma che a un certo punto sognano di sottometterci, di conquistarci, arrivando ad uccidere – premette Orioles –. Questa per noi è una sfida intellettuale che ha forti implicazioni in termini di sicurezza. Da anni mi occupo di analizzare il fenomeno dell’immigrazione sul nostro territorio, in particolare focalizzando l’attenzione sugli immigrati di seconda generazione, nati qui o arrivati nella prima infanzia, il cui percorso di scolarizzazione e socializzazione è a tutti gli effetti quello di un qualunque altro ragazzo udinese». «Ormai – continua il sociologo – si è capito che il percorso di radicalizzazione non avviene nelle moschee, dove solitamente questi giovani a rischio non vanno. La radicalizzazione avviene on line, innescata dall’assidua frequentazione di profili Facebook e Twitter. É un fenomeno che gli analisti definiscono “Sceicco google”». «A fronte di una simile dinamica, prevenire sul nostro territorio la nascita di eventuali simpatizzanti o addirittura di potenziali combattenti è una sfida immane per le nostre forze dell’ordine – sottolinea lo studioso –, in Italia come nel resto d’Europa. I movimenti in rete delle cellule jihadiste sono un fenomeno di proporzioni talmente ampie che non ci sono risorse per seguirli tutti. I killer di Charlie Hebdo, o Jihadi John, il boia inglese dell’Isis, erano nella lista dei sorvegliati. Da ricordare, poi, che le tre minorenni britanniche fuggite nelle scorse settimane in Siria per unirsi allo Stato Islamico seguivano almeno 50 account Twitter legati all’Isis prima di partire. Studiando il processo di radicalizzazione si scopre che a farsi sedurre dal messaggio jihadista sono sempre più spesso giovani europei con un elevato livello di istruzione, tutt’altro che ai margini della società. Proprio come Jihadi John o il killer del cineasta Theo Van Gogh». «Il più delle volte – osserva Orioles – si tratta di giovani che sono entrati in un giro di contatti sbagliati. Magari si sentono in crisi di identità, scoprono il verbo jihadista e abbracciano quell’ideologia estrema. Dobbiamo porci degli interrogativi: perché non offriamo a questi giovani l’opportunità di credere nell’Europa? Impossibile non fare un collegamento con i problemi della disoccupazione, della difficoltà a costruire il proprio futuro, della rassegnazione. La deriva jihadista ci dice qualcosa anche sulla crisi della nostra società. Non stupisce che l’Isis lanci messaggi ai musulmani dicendo che quella europea è una democrazia fasulla perché comandano le banche. Sono messaggi sofisticati, che fanno presa in un’Europa in cui, non a caso, è in ascesa il populismo». «Per difenderci – conclude il sociologo – è fondamentale responsabilizzare le nostre comunità islamiche locali, favorire una collaborazione che sia davvero istituzionale. E soprattutto, sensibilizzare gli imam e prima ancora famiglie e amici affinché stiano attenti a cogliere tempestivamente segnali di degenerazione da parte dei figli». Il libro di Orioles è stato presentato la settimana scorsa alla Camera dei Deputati a Roma e il 24 marzo alle 17 la presentazione sarà bissata nella “Sala Florio” dell’università di Udine.
Piero Tallandini