Il Friuli che domani si stringerà intorno alla famiglia di Giulio Regeni è assetato di verità. Desiderano, i friulani, che sia fatta luce sulla sorte del giovane di Fiumicello, sulle modalità che hanno portato a quella fine atroce, sulle responsabilità. Gli occhi di un intero popolo fissano un Paese, l’Egitto, accusato di aver esercitato una violenza disumana su Regeni come farebbe, regolarmente, su un intero popolo.
La reticenza degli investigatori e le reazioni sprezzanti delle autorità del Cairorivelano come il caso sia parte integrante delle vicissitudini di un angolo strategico del Medio Oriente che il presidente al-Sisi ha deciso di governare con pugno di ferro. Le ricerche condotte da Regeni tentavano di evidenziare quel che oggi sanno tutti: che quello egiziano è un regime che non può permettersi il lusso della democrazia.
Il ventottenne venuto dal Friuli con una tesi di dottorato da scrivere è stato risucchiato in un’accelerazione della storia cominciata il 25 gennaio 2011, giorno in cui prende piede la rivoluzione di Piazza Tahrir, proseguita con la conquista del potere da parte dei Fratelli Musulmani e precipitata in una turbolenza che l’allora ministro della difesa al-Sisi tagliò con l’accetta il 3 luglio 2013.
Il colpo di Stato che ha deposto il presidente Mohamed Morsi ha riportato la storia egiziana nel suo alveo naturale, quello che per sessant’anni ha visto i generali opporsi al tentativo di re-islamizzare il Paese nel nome del più fiero rifiuto di qualsiasi allineamento all’Occidente. I Fratelli Musulmani ci hanno provato per vie politiche, quantunque dissimili da quelle cui siamo abituati dalle nostre parti. Vedendosi sbarrata ogni strada, hanno tentato il colpo di mano, di cui a farne le spese fu il presidente Sadat in un clamoroso attentato.
L’inesorabile repressione si è accompagnata al successivo riassorbimento anche se ai margini della vita politica. Fino al 2011, quando il vento del cambiamento ha fatto cadere il presidente Mubarak e ha spalancato le porte dei palazzi alla Fratellanza. Un successo che non ha placato il Paese ma l’ha fatto sprofondare in un caos da cui è emerso il volto di al-Sisi.
Il golpe del nuovo raìs fu salutato da milioni di egiziani, incluso quel fronte democratico che non era riuscito a coronare il suo sogno attraverso le elezioni. Al-Sisi ama ora presentarsi come l’unico baluardo contro la sovversione e il terrorismo. A farne le spese sono però anche quelle forze che hanno sperato, nei giorni di Piazza Tahrir, di rendere l’Egitto un paese più simile a quello da cui era venuto Giulio Regeni.