La preoccupazione per i nostri corregionali in Venezuela è quanto mai giustificata. Il Paese è sull’orlo del baratro, con un’economia al collasso, l’ordine pubblico in decomposizione e la crisi politica sempre più incandescente. I problemi del Venezuela risalgono ai tempi in cui l’allora presidente Hugo Chavez, in uno slancio populista da manuale, approfittò del consenso popolare per lanciare l’esperimento del “socialismo del XXI secolo”: un’utopia fuori dalla storia che poté funzionare per un po’ solo grazie alla bonanza petrolifera. Ma negli ultimi anni, con il prezzo del greggio precipitato sotto la soglia dei cinquanta dollari, è venuto fuori il bluff. Dal 2013, anno dell’ascesa del successore di Chavez, Nicolás Maduro, il PIl del Venezuela si è contratto del 26%. Povertà, inflazione e disoccupazione dilagano, e si stima che otto venezuelani su dieci abbiano perso quasi nove chili in un anno. Il Paese importa quasi tutto il cibo dall’estero, e la sua distribuzione è nelle mani dell’esercito che ha messo in piedi un odioso racket. La criminalità è esplosa a livelli mai visti e provoca ogni giorno la morte di 80 persone, con la capitale Caracas diventata una delle città più pericolose al mondo. Questa situazione drammatica fa da sfondo ad una crisi politica il cui indicatore più appariscente è la mobilitazione permanente delle piazze. Il presidente Maduro reprime però il dissenso con il pugno di ferro. È salito a trenta il bilancio dei manifestanti caduti nelle ultime settimane sotto i colpi della polizia e dei “colectivos”, i gruppi paramilitari che fungono da pasdaran del regime. L’opposizione, che controlla il Parlamento, continua ad invocare nuove elezioni, ma la sua voce è soffocata da un presidente che si fa apertamente beffe della divisione dei poteri e di ogni altro principio democratico. Maduro governa per decreto e può contare sull’appoggio incondizionato della Corte suprema, di sua nomina. E quest’ultima, oltre a bocciare sistematicamente i provvedimenti dell’Assemblea nazionale, ha persino tentato di esautorarla il mese scorso in quello che la stampa mondiale ha definito un “autogolpe”. Le pressioni internazionali hanno alla fine fatto fallire quel tentativo, compiuto anche per consentire a Maduro di vendere alla compagnia petrolifera russa Rosneft parte degli asset energetici del Paese, operazione disperata volta a rimpinguare di valuta estera le casse esangui dello Stato. Questa situazione, in una condizione normale, sarebbe destinata a concludersi con le elezioni presidenziali in programma l’anno prossimo. Un voto che Maduro, appoggiato da meno del 20% della popolazione, non potrebbe che perdere, sempre che il regime non decida di cancellarlo. Ben conscia della gravità degli eventi, l’Organizzazione degli Stati Americani ha già richiamato due volte in un mese il Venezuela al rispetto dei principi democratici. Per tutta risposta, il governo ha annunciato l’uscita del Paese dall’organizzazione. Anche la diplomazia vaticana, adoperatasi per tentare una mediazione tra le forze politiche, ha dovuto alzare le mani. Tutto sembra indicare dunque che il caos sarà la cifra del Venezuela di qui al prossimo futuro. E a pagarne il prezzo saranno anche i 150 mila italiani e il milione di oriundi che ci vivono.
Il fallimento dell’utopia di Chavez
Pubblicato il 04/05/2017 - Messaggero Veneto
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