Il prossimo 25 marzo cade il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma istitutivi della Comunità Economica Europea. La ricorrenza giunge in un momento di acuta crisi per l’Unione, attaccata da più fronti e per i motivi più svariati. Bruxelles è accusata da alcuni di fare troppo e da altri di fare troppo poco per il benessere dei 500 milioni di cittadini europei. Da pensiero marginale, l’euroscetticismo si sta facendo mainstream, divenendo patrimonio comune di vari partiti e movimenti che insidiano le forze di governo in tutto il Vecchio Continente. Lo scioccante voto dei britannici al referendum dello scorso giugno, che ha sancito l’inattesa vittoria del “Leave”, ha aperto una crepa che minaccia di provocare altre “exit”. Da anni, inoltre, la politica economica dell’Unione è apertamente contestata da Paesi che, come l’Italia, ritengono l’eccessiva insistenza di Bruxelles sull’austerity controproducente per la crescita economica e per la solidarietà sociale. Come se non bastasse, l’America di Trump minaccia di bistrattare l’UE, allontanandosi dal solco della partnership transatlantica. Tutti questi segnali negativi ci costringono ad una riflessione: l’Unione, figlia di una visione coraggiosa da parte dei suoi Padri fondatori, non è forse più il destino comune dei suoi 28 Paesi membri (saranno 27, quando la Gran Bretagna invocherà l’art. 50 del trattato di Lisbona)? Gli europei dovranno fare a meno di un partenariato che ha presidiato, tra le altre cose, la pace e la prosperità del continente per oltre mezzo secolo? Difficile a dirsi. Ma il progetto europeo merita uno sforzo volto al suo rilancio. Ci vuole uno scatto d’orgoglio da parte di chi crede nell’Europa unita per trasmettere ai cittadini un messaggio in controtendenza rispetto alla dialettica politica degli ultimi anni: l’Europa è una civiltà unificata da valori comuni che ha scelto la strada della cooperazione perché la sola in grado di assicurare la sicurezza e la competitività dell’Europa nell’era della globalizzazione. Unita, l’Europa è in fin dei conti ancora la principale potenza economica del pianeta. Essa beneficia di una forza d’attrazione per tutte le aree litigiose del mondo, ancorate ad antiche rivalità. Nel suo graduale processo di unificazione, l’UE ha saputo sconfiggere quelle pulsioni nazionaliste che tanto male hanno recato al continente nei secoli passati. Non vi è miglior simbolo di questa rivoluzione dello spazio Schengen: confini aperti a vantaggio di tutti, si tratti di operatori economici o di semplici turisti. La crisi che attanaglia l’Europa di oggi è anche una crisi di autostima. Prima la risolviamo, meglio sarà per tutti. L’economia globale non attende e non fa prigionieri.
Europa Unita: un amaro sessantesimo compleanno