Comincia con un cinguettio trilingue – “Hallo Europa! Hello Europe! Salut l’Europe!” – lanciato dal suo profilo Twitter la parabola della prima presidente donna della Commissione Europea. È tedesca, Ursula von der Leyen, e soprattutto una delfina di Angela Merkel, dei cui governi ha sempre fatto parte. La sua nomina a Palazzo Berlaymont è il frutto più vistoso, ma dal sapore amaro per l’Italia gialloverde, del patto siglato la notte di lunedì a Bruxelles dalla sua mentore con gli altri due mattatori del gran bazar delle euronomine, il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez. Preoccupato più di scongiurare la procedura d’infrazione che di reclamare posti, il nostro premier Giuseppe Conte non ha potuto far altro che acconsentire ad una spartizione delle cariche che produce un triplice effetto politico: confermare la centralità dell’asse franco-tedesco, premiare le tradizionali famiglie politiche del Vecchio Continente, e lasciare ai margini le forze sovraniste. Che nulla del resto potevano pretendere: il loro tentativo di diventare l’ago della bilancia di un esecutivo europeo col baricentro spostato a destra è fallito miseramente alle elezioni dello scorso 26 maggio, dalle quali popolari e socialisti sono usciti ammaccati ma pur sempre in grado, grazie all’alleanza con i liberali, di esprimere i vertici comunitari. Il risultato non potrebbe essere più beffardo per il nostro Capitano, visto che l’odiato Macron porta a casa praticamente tutta la posta: un capo della Commissione gradito a lui e alla cancelliera, la presidenza del Consiglio Europeo affidata al fedelissimo premier belga Charles Michel, e persino il trofeo più ambito, una connazionale – l’attuale capo del Fmi Christine Lagarde – al vertice della Bce. Come se non fosse sufficiente, ecco arrivare per il leader dei sovranisti d’Europa un altro schiaffo, questa volta dall’Assemblea di Strasburgo che mercoledì ha eletto al suo scranno più alto un esponente del Partito Democratico, il giornalista David Sassoli. In una partita in cui non ha praticamente toccato palla, l’unico gol segnato dal nostro governo consiste nell’aver affossato, in asse con il blocco di Visegrad, la candidatura del socialista olandese Frans Timmermans lanciata dai Big europei al G20 di Osaka. Un trofeo che contiene ben poca sostanza. Resta quel che nessuno potrà negare ad un Paese fondatore del calibro dell’Italia: un commissario. Sarà, giurano Conte e gli azionisti della sua maggioranza, un commissario economico e “di peso”. Ma se l’obiettivo è questo, la strada è in salita. L’Europarlamento, che deve approvare ogni nomina, farà pelo e contropelo al candidato italiano che la legge dei numeri vuole che sia leghista e dunque inviso alla maggioranza degli eurodeputati. Il precedente di Rocco Buttiglione, che nel 2004 fu rigettato dall’assemblea nonostante fosse indicato dal governo Berlusconi, sconsiglia entusiasmi prematuri. Sempre più sola in Europa, l’Italia gialloverde è avvertita: nei prossimi cinque anni, altro che sconti sul deficit e ricatti sui migranti.