La campagna elettorale permanente in cui sono impegnati i fratelli-coltelli gialloverdi ha già mietuto una vittima illustre: le relazioni italo-francesi. La decisione di Parigi di richiamare in patria per consultazioni il proprio ambasciatore non arriva come un fulmine a ciel sereno. La grave mossa, inedita per due membri della stessa famiglia europea e atlantica, è certo dettata da ragioni contingenti: nella fattispecie, dall’incontro avvenuto martedì tra una delegazione grillina guidata dal vicepremier Luigi Di Maio e una rappresentanza dei gilet gialli capitanata da un uomo, Christophe Chalençon, noto per aver auspicato la “guerra civile” in Francia. Tanto è bastato, al Quai d’Orsay, per denunciare le “ingerenze” italiane e “una provocazione supplementare e inaccettabile”. L’improvvido rendez-vous tra i populisti italici e gli sfascisti che sognano la detronizzazione di Emmanuel Macron è la classica ultima goccia che fa traboccare il vaso di un rapporto che si è progressivamente deteriorato dai giorni dell’insediamento del governo Conte. Un esecutivo che sembra non poter fare a meno di un nemico, reale o immaginario che sia, per darlo in pasto al popolo. E che si è imposto di riaffermare la sovranità dell’Italia contro le forze che pretendono di imbrigliarla. In ambedue i casi, è la Francia di Macron a svolgere il ruolo del capro espiatorio. Ecco, dunque, le intemerate del capo politico pentastellato e del subcomandante Alessandro Di Battista contro il franco CFA, ritenuto la causa di tutti i mali dell’Africa e delle migrazioni che insistono sul nostro Paese. Ecco, poi, la polemica del ministro degli Interni Matteo Salvini sull’Aquarius che, nel giugno scorso, fu la prima nave di una Ong a diventare oggetto di un rimpallo tra Italia e Francia su chi dovesse offrirle un porto sicuro. All’innalzarsi della tensione non è naturalmente estranea la condotta dei nostri cugini transalpini, vedi la vicenda dei respingimenti dei migranti a Bardonecchia o l’ostruzionismo sull’acquisizione dei cantieri Stx da parte di Fincantieri. Ma se siamo arrivati al punto di rottura lo si deve soprattutto alla scelta di Lega e M5S di fare della Francia e del suo presidente progressista gli avversari da sconfiggere nella competizione elettorale prossima ventura, le Europee. Nell’impossibilità di sfoderare un programma esplicitamente anti-europeo o anti-euro, grillini e leghisti hanno trovato nella Francia e in Macron due perfetti surrogati. Indirizzando i propri strali a loro, e non a Bruxelles o alla moneta unica, i due partiti di governo possono proseguire la loro campagna euroscettica senza creare troppo allarme. Macron e la Francia svolgono la funzione di bersagli legittimi in una battaglia, quella contro l’Europa, che non può essere combattuta in campo aperto. Ecco perché questa vicenda appare profondamente inquietante. Non solo perché a ballare è il rapporto con il nostro vicino di casa e secondo partner commerciale. Ma perché vediamo l’antieuropeismo congenito gialloverde rialzare la testa e, sotto nuove sembianze, diventare il verbo della nostra politica estera.
Eliseo il nuovo “nemico” in chiave elettorale
Pubblicato il 09/02/2019 - Il Piccolo
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