Domenica 6 ottobre quasi 11 milioni di elettori portoghesi si recheranno al proprio seggio per scegliere la nuova Assembleia da República. Ventuno diverse forze politiche si contenderanno i 230 seggi a disposizione sulla base di una legge elettorale proporzionale che incorona di norma chi riesce a portare a casa almeno il 42% dei voti.
La vera domanda che incombe sul turno elettorale non è tanto chi risulterà primo alle urne. Tutti i sondaggi, ricorda Politico.eu, assegnano la vittoria ai socialisti del premier uscente Antonio Costa, che nonostante un repentino calo nei consensi nelle ultime settimane – che ne ha dimezzato i 15 punti di distacco rispetto ai rivali di centro-destra del PSD – dovrebbero sfiorare, senza però raggiungerla né tanto meno farla diventare assoluta, la maggioranza dei seggi.
Sono altre due, invece, le questioni che si porranno a partire da lunedì: quali forze politiche, anzitutto, salteranno sul carro socialista per formare con Costa un nuovo esecutivo, con la maggior parte dei bookmaker che puntano sulla riproposizione dell’alleanza di sinistra che ha governato dal 2015 ad oggi, pur senza escludere – in caso di un exploit del Ps che lo porti ad un passo dalla maggioranza assoluta – una inedita alleanza con gli ambientalisti ed animalisti del PAN.
Ma la vera domanda chiave che incombe sul dopo voto è quella che si è posto qualche giorno fa CNBC, ossia se il ciclo politico che si aprirà immediatamente dopo la formazione del nuovo governo potrà beneficiare della medesima, incoraggiante ripresa economica che ha permesso al Portogallo di superare la crisi del debito sovrano che meno di due lustri fa ha fatto atterrare a Lisbona la Troika e imposto al Paese impopolari, ma al dunque salvifiche, misure di austerity.
Quella del Portogallo è stata definita universalmente una success story evidenziata, tre le altre cose, da tassi di crescita economica negli ultimi due anni – 2.8% nel 2017 e 2.1% nel 2018 – superiori alla media Ue.
È un risultato che CNBC e altri ascrivono in primo luogo ad un boom dell’export, capace di passare da un volume di 37,3 miliardi di euro toccato nel 2010, l’anno della crisi, ai 58 miliardi dell’anno scorso. Più del 40% della crescita economica del 2018 va attribuita, sottolinea CNBC, a questo singolo fattore.
Proprio qui, tuttavia, si cela la prima possibile grana per il nuovo esecutivo. Come Ana Andrade, analista dell’Economist Intelligence Unit, ha precisato a CNBC, il Portogallo è oggi “maggiormente esposto” all’andamento del commercio globale rispetto a quanto lo fosse pochi anni fa.
Il rischio incombente sull’economia portoghese è dunque presto detto e si chiama Donald Trump, i cui dazi e comportamenti protezionisti rappresentano per Lisbona una potenziale quanto devastante mina che ha già fatto abbassare le proiezioni di crescita di quest’anno al 1,7% e fatto prevedere, per l’anno successivo, un ulteriore e drastico calo all’1,2%.
Le implicazioni per l’eventuale Costa 2 sono evidenti e toccano il nodo rovente del debito. Dopo il picco del 130% sul Pil raggiunto nel 2014, le misure prese da Lisbona sono riuscite nell’impresa di abbassarlo di ben venti punti, spingendo Costa a inserire nel programma elettorale la promessa di “avvicinarsi al 100% entro la fine del prossimo mandato” nel 2023. Obiettivo ovviamente irraggiungibile in assenza di una robusta crescita economica.
La questione del debito appare fondamentale per un leader come Costa e il suo partito che si sono attributi il merito della sua virtuosa discesa e puntano le proprie chance per un bis sulla prosecuzione di questo trend ma anche sull’uscita dalle strettoie di un’austerity che qui, come ovunque, ha fatto sanguinare. Senza il governo del PS, ha sottolineato recentemente Costa, il Portogallo non sarebbe riuscito a “riguadagnare la credibilità internazionale, mantenere la fiducia degli investitori, ridurre le disuguaglianze e tenere in ordine i conti”.
Per quanto possano apparire paradossali o addirittura suicide dal punto di vista politico, le promesse elettorali di Costa sono state incentrate proprio sulla prosecuzione di una linea che abbina la disciplina fiscale ai tagli alle spese, considerati necessari per non sciupare i benefici ottenuti in questi anni di austerity.
Austerity che, in Portogallo, è associata al nome e al volto di Mario Centeno, il ministro delle Finanze che è riuscito a guadagnarsi la stima dei colleghi europei che l’hanno voluto a capo dell’Eurogruppo. I risultati ottenuti dalle sue policies economiche e fiscali sono stati tali che persino il principale rivale di Costa, il leader socialdemocratico Rui Rio, durante un recente dibattito elettorale ha affermato testualmente: “Anch’io ho il mio Mario Centeno”.
Peccato che, come spesso accade in politica, di fronte a due forze che si copiano i programmi, gli elettori tendano a preferire l’originale. La promessa del PSD di fare come e meglio di Costa e Centeno, così, sembra proprio destinata a soccombere.
I più recenti sondaggi fotografano fedelmente questa tendenza. Secondo la rilevazione USP-CESOP della fine del mese scorso, ad esempio, alla domanda su chi si vorrebbe a capo del governo tra Costa e Rio, il 51% propende per il primo contro appena il 25% per il secondo.
Portugal, UCP-CESOP poll:
"Regardless of your party preferences, between Antonio Costa and Rui Rio, who would be the best prime minister?"
Costa (PS-S&D): 51%
Rio (PSD-EPP): 25%Fieldwork : 26-29 September 2019
Sample Size: 3,226
Election date: 6 Oct#legislativas #Portugal— Europe Elects (@EuropeElects) October 2, 2019
Il quadro che dovrebbe delinearsi dopo il voto in termini di ripartizione di seggi è stato fotografato invece dal sondaggio Católica del 29 settembre: primi i socialisti con il 37% e cinque seggi in più rispetto alle politiche di quattro anni fa, seguiti con sette punti in meno dal PSD. Al terzo e quarto posto si collocano gli attuali alleati di Costa, il Blocco di Sinistra (BE) con il 10% e i comunisti con il 6%. A seguire troviamo CDS, alleati del PSD, con il 5%, e l’annunciata sorpresa di questo turno elettorale, il PAN con un 3% che corrisponde ad un consenso tre volte superiore a quello riscosso quattro anni fa quando era appena nato.
Il quadro non sarebbe completo se non citassimo una particolarità che, come osserva Reuters, confermerà molto probabilmente il Portogallo come una felice eccezione europea in compagnia delle sole Gran Bretagna, Irlanda, e delle piccole Malta e Lussemburgo: neanche questa volta entreranno in parlamento forze di estrema destra e populiste.
Tanto il PNR quanto l’ultimo arrivato Chega – accomunati da posizioni anti-migranti, anti-rom e anti-LGBT, oltre che da una mal velata nostalgia per la dittatura di Salazar .- non dovrebbero superare infatti l’1.
A fronte di questi numeri, gli scenari che si aprono per la formazione del governo sono ristretti a due opzioni legate alle performance dei due alleati di Costa e del PAN. La previsione presente nella scheda paese compilata dall’Economist Intelligence Unit punta sulla riproposizione, con qualche piccola variante, della cosiddetta geringonça, il patto tra il PS da un lato e il Blocco di Sinistra e i comunisti dall’altro.
Ma gli stessi analisti dell’Economist non escludono che si avveri la seconda ipotesi, incentrata su un successo del PS tale da avvicinarlo alla maggioranza assoluta, dalla quale lo separerebbe un pugno di seggi che potrebbero arrivare dal PAN, che – come nota il Guardian – rispetto al Blocco di Sinistra e ai comunisti presentano, per Costa, il vantaggio di costituire un alleato più flessibile e, proprio perché poco numeroso, meglio gestibile.
Durante la campagna elettorale, Costa ha invocato anzitutto un “forte PS”, con un numero di seggi tale da sventare una situazione alla spagnola, dove com’è noto i socialisti non sono riusciti a trovare un’intesa con l’estrema sinistra di Podemos spingendo il Paese alle quarte elezioni di fila.
È un auspicio che riflette la sua preoccupazione per la crescente litigiosità dell’alleanza di governo, con particolare riguardo alle tensioni degli ultimi mesi tra il suo Ps e il Blocco di Sinistra, che oltre a pretendere spese incompatibili con l’attuale quadro finanziario è uso ventilare piani di nazionalizzazione che fanno ovviamente rabbrividire i puristi del mercato. Critiche ricambiate dalla leader del Blocco, Catarina Martins, a detta della quale il programma socialista manca di concretezza e visione.
Ma il verdetto delle urne potrebbe rendere inesorabile il bis dell’alleanza di sinistra. Questa, come detto, è la previsione dell’Economist Intelligence Unit, secondo la quale anche stavolta Blocco di Sinistra e comunisti appoggeranno dall’esterno i socialisti, con i primi che si accontenteranno di un accordo informale con Costa e i secondi che pretenderanno anche stavolta un accordo scritto.
Questo scenario per l’Economist assicurerà da un lato “che le politiche (di governo) manterranno una connotazione di sinistra”, garantendo però dall’altro la prosecuzione “dell’impegno alla disciplina fiscale e a portare avanti le riforme strutturali implementate durante il periodo del bail-out tra il 2011 e il 2014”.
Qualora, invece, il verdetto di domani consegnasse ai socialisti una vittoria quasi piena, sfiorando la maggioranza assoluta, lo scenario che tutti, Economist e Reuters compresi, ritengono possibile è come detto un’inedita alleanza tra Ps e Pan che renderebbe quest’ultimo il classico “kingmaker”.
Con I sondaggi che gli attribuiscono il 4% circa, il Pan dovrebbe assicurarsi almeno quattro seggi. In campagna elettorale, il leader Andre Silva ha aperto esplicitamente ad un accordo con il PS – le cui misure peraltro ha appoggiato quasi sempre nella precedente legislatura, incluse tre delle quattro leggi di bilancio – se quest’ultimo si impegnasse, oltre che a tutelare l’ambiente e i diritti degli animali, a “un chiaro cambiamento nella nostra economia produttivista, dipendente dal petrolio e dal carbone”.
Sono condizioni che Costa potrebbe non solo contemplare ma considerare più vantaggiose al cospetto dell’alternativa di una alleanza di sinistra in cui si ritroverebbe costretto a compromessi più onerosi da ogni punto di vista oltre che a litigi continui.
Nel presentare i suoi scenari per il dopo voto, Reuters non esclude un’ultima ipotesi meno probabile ma non destituita di fondamento: la formazione di un governo di minoranza a seguito del fallimento nei negoziati in seno alla vecchia alleanza di sinistra.
Ciò aprirebbe naturalmente alla spiacevole situazione di trattative continue, caso per caso, sulle singole misure che il monocolore guidato da Costa porterà all’attenzione del Parlamento.
Salvo sorprese, dunque, lunedì comincerà per Costa una nuova avventura al potere, per assaggiare il quale dovrà però scegliere i giusti commensali.