Dopo una logorante attesa colma di annunci mirabolanti e funesti presagi, le urne hanno parlato anche in Friuli Venezia Giulia. Il voto di domenica ci consegna dei risultati sostanzialmente prevedibili – paralisi compresa – con qualche piccola sorpresa che non intacca le tendenze di fondo. I dati essenziali sono: débâcle del centro-sinistra, exploit della Lega, maggioranza relativa per il centro-destra a livello regionale e buon risultato del M5S. Il Partito Democratico esce malconcio pagando i suoi anni al governo svolti in condizioni non ottimali ma in situazione di piena responsabilità. Gli elettori non gli confermano la fiducia anche perché disgustati dallo spettacolo della litigiosità interna del partito, dalle continue scissioni e soprattutto dall’attacco sistematico ad un segretario, Matteo Renzi, che aveva avuto il merito di concepire una leadership forte e un’azione di governo volitiva e a tamburo battente: veri e propri tabù a sinistra. Lo stato gassoso in cui si è trovato ad operare il Partito Democratico ha avvantaggiato il diretto avversario, quel centro-destra che invece gli elettori hanno premiato. Pur nella sua eterogeneità, il centro-destra è riuscito a far promanare dalle sue proposte un’idea di capacità e voglia di fare che il centro-sinistra, estenuato dalle battaglie di partito e di governo, aveva smarrito. Gli elettori sono riusciti persino nel miracolo di restituire fiducia a Silvio Berlusconi, che in altre condizioni storiche sarebbe stato archiviato parecchio tempo fa. Ma è Matteo Salvini e la sua Lega che capitalizzano di più il logoramento del Pd. Il Carroccio è riuscito nell’impresa che si era prefisso il suo nuovo segretario: trasformare un partito a vocazione localista in un movimento di respiro nazionale che incarna i valori del nazionalismo di destra. Il sorpasso rispetto a Forza Italia definisce bene questo successo della Lega, capace di scippare ai più compassati colleghi forzisti lo scettro di partito della nazione che difende in modo intransigente gli interessi dei suoi cittadini. La battaglia sui temi dell’immigrazione è stata in questo caso decisiva. Qui Salvini ha svolto una performance imbattibile, riuscendo a convincere gli italiani che fosse in corso una massiccia invasione di clandestini con la complicità del governo. Ha voluto giocare facile, Salvini, scegliendo un tema che ha pagato nelle elezioni di tutti gli altri paesi europei, dove il tema dei migranti è stato ovunque determinante e ha alimentato il serbatoio del voto xenofobo. Ma c’è un altro elemento che emerge da questi risultati che merita la massima attenzione: quasi cinque elettori su dieci hanno votato per una forza anti-sistema, la Lega o il M5S. Questo è il principale indicatore della disfatta del governo, che non a caso aveva indicato nel populismo il nemico da battere. Ma è stato il populismo a battere loro, e questo induce a riflettere sullo stato di prostrazione di un elettorato che, non volendo più credere alle promesse di governo dei partiti tradizionali, preferisce dare le chiavi del paese a movimenti che giurano di rivoltare lo Stato come un calzino. Assieme alla vittoria del centro-destra, il successo del populismo può essere considerato il dato più significativo di questa tornata elettorale. Che è anche quello su cui riflettere di più nei mesi a venire.
Elezioni politiche: impennata populista
Pubblicato il 06/03/2018 - Messaggero Veneto
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