Una telefonata tra il presidente russo Putin e il principe saudita bin Salman, con tanto di appello ad uno “stretto coordinamento” tra i due Paesi, lascia intendere che sia in corso un dialogo serrato in vista del 9 e 10 giugno
Dopo il grande e rocambolesco accordo del 12 aprile che li ha condotti – non senza una spinta furiosa di Donald Trump – a togliere dal mercato circa 10 milioni di barili di petrolio al giorno per ridargli fiato dopo le secche del Covid-19, per i Paesi produttori riuniti nel cartello cosiddetto OPEC + si avvicina il giorno della seconda resa dei conti.
È fissato infatti per i prossimi 9 e 10 giugno il secondo meeting del gruppo, con un delicato punto in agenda: la decisione se proseguire o meno con l’aumento della produzione di 2 milioni di barili al giorno, con effetto a partire dal 1 luglio, concordata nell’incontro precedente.
Tra gli analisti si è già scatenata la gara a chi prevede in anticipo le mosse dei vari attori, con le probabilità equamente ripartite tra la conferma della decisione precedente, il mantenimento dello status quo o il ricorso ad ulteriori tagli.
I soli segnali di mercato non lasciando intravedere scelte certe. È vero infatti che questo mese tanto il WTI quanto il Brent hanno conosciuto una brusca risalita (di ben l’88% il primo e di quasi il 40% il secondo). Ma siamo ancora a un livello di prezzi men che ottimale, con il WTI che ha chiuso venerdì con una quotazione di 35,49 dollari al barile e il Brent a 35,33.
Difficile, in questo quadro, prevedere cosa decideranno attori come l’Arabia Saudita, anche se le potenti antenne di Reuters sono riuscite a percepire dei segnali da Riad: pare, stando ad alcune fonti di OPEC + e dell’industria petrolifera russa, che il maggior produttore del Golfo sia a favore della prosecuzione dei tagli, ma che non sia ancora a riuscito a convincere della bontà della scelta l’altro soggetto chiave, la Russia.
Una telefonata intercorsa mercoledì fa tra il presidente russo Vladimir Putin e il principe saudita Mohammed bin Salman, con tanto di appello ad uno “stretto coordinamento” tra i due Paesi, lascia intendere che sia in corso un dialogo serrato sul che fare tra dieci giorni.
Il problema, stando almeno alle fonti dell’agenzia di stampa britannica, è che sembri mancare un’intesa: se da un lato infatti i sauditi parrebbero spingere per congelare la produzione fino alla fine dell’anno, in Russia dominerebbe l’attendismo sia al ministero dell’Energia guidato da Alexander Novak sia tra le compagnie petrolifere.
In particolare, se il ministro pare convinto della necessità di attendere almeno la fine del mese di giugno, quando dovrebbe registrarsi un riequlibrio dei mercati dopo lo choc dei mesi scorsi, le compagnie petrolifere non hanno ancora maturato una posizione comune, con molte di esse attaccate alla finestra ad osservare l’andamento dei prezzi.
Interpellato sulla possibilità di varare i tagli previsti, un produttore russo ha spiegato a Reuters di essere pronto ad “obbedire” se sarà questa la linea patriottica. “Ma se la domanda è ok”, la conclusione ovvia è che quel nuovo taglio non s’ha da fare.
Riflettendo su questi segnali di fumo, l’analista di “Investing” Ellen R. Wald è facile profeta nel vedere all’orizzonte il deflagrare di una nuova guerra del petrolio tra Arabia Saudita e Russia alla stregua di quella che scoppiò a marzo quando le trattative in sede Opec + fallirono miseramente e le due potenze – prima di essere prese per la giacchetta da Donald Trump e convinte ad accordarsi – presero a sfidarsi a colpi di nuove estrazioni e calo dei prezzi (che subirono in quattro e quattr’otto un tonfo di ben il 30%).
Ma per quanto non sia da escludere, per Wald questo non è uno scenario predeterminato. Se ambedue le potenze hanno appreso la lezione dei mesi scorsi, l’Arabia Saudita pare particolarmente desiderosa di assicurarsi la cooperazione di tutti i produttori Opec e non Opec onde evitare il ripetersi della situazione di conflittualità registrata a cavallo di marzo e aprile, ossia proprio nei mesi caldi del Covid-19.
Tutto ciò lascia intendere che a Riad sono pronti a fare la propria parte alla riunione dei prossimi 10 e 11 giugno, che vogliano mantenere funzionante il cartello ed evitare nuove frizioni in un mercato ancora turbolento. Tutto ciò anche a costo di ingoiare qualche rospo come, per citare Wald, farsi carico di tagli addizionali e rinunciare, almeno per un po’, a vendere il proprio greggio in lucrosi mercati come quello asiatico.