È cominciata sabato pomeriggio nella Siria orientale la battaglia finale contro lo Stato Islamico. Le Forze Democratiche Siriane, con l’appoggio dell’aviazione Usa, hanno attaccato l’ultimo frammento del califfato rimasto in piedi nei pressi del villaggio di Baghuz, a pochi passi dal confine con l’Iraq: appena cinque chilometri quadrati di territorio dove sono asserragliati tra 400 e 600 irriducibili, tra cui molti foreign fighters di varie nazionalità.
Le ostilità sono iniziate con dieci giorni di ritardo, necessari per permettere a ventimila civili di scappare. Tra essi, le mogli, i figli e altri congiunti dei seguaci del califfo che hanno scelto di resistere sino all’ultimo. I fuggiaschi sono stati temporaneamente sistemati nel campo profughi di al-Hol, nel governatorato di al-Hasakah. Secondo il New York Times, la battaglia sarebbe stata ritardata anche per negoziare con i militanti un accordo che, in cambio di un passaggio sicuro per loro verso la provincia di Idlib nel nordovest della Siria, avrebbe condotto alla liberazione di numerosi prigionieri SDF.
“Dopo aver salvato più di (ventimila civili) e averne assicurato la salvezza nei campi vicini”, ha twittato alle quattro del pomeriggio di sabato Mustafa Bali, portavoce delle SDF, le forze attaccanti “hanno iniziato a muovere verso l’ultimo villaggio rimasto sotto il controllo degli jihadisti nel Nord della Siria”. Il giorno dopo, sempre via Twitter, Bali ha annunciato che le SDF avevano “catturato 41 posizioni dell’Isis e distrutto delle fortificazioni. Un contrattacco dell’IS è stato sventato alle 4 di questa mattina. Forti combattimenti stanno andando avanti al momento dentro” Baghuz.
#SDF have advanced on northern and western axis into Baghuz since 19:00 yesterday evening, capturing 41 positions of ISIS and destroying fortifications. IS counterattack was foiled at 4 am this morning. Heavy fighting is going on inside the last village at the moment.
— Mustafa Bali (@mustefabali) February 10, 2019
“La battaglia è molto feroce”, ha dichiarato il giorno dopo Bali all’Associated Press. “Quelli rimasti dentro” Baghuz, ha sottolineato il portavoce, “sono quelli che hanno più esperienza”: stanno lottando come dannati per “difendere la loro ultima roccaforte”. Per l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani le SDF stanno avanzando “con cautela” a causa delle numerose mine presenti sul terreno.
A complicare le operazioni è poi la presenza, nel villaggio, di un numero di civili compreso tra cinquecento e mille. “Se riusciremo, in breve tempo, a far uscire i civili o a isolarli (dai combattimenti), credo che nei prossimi giorni assisteremo alla fine militare dell’organizzazione terroristica in quest’area”, ha detto Bali. Per uno dei comandanti delle SDF, Redur Xelil, bisognerà invece attendere la fine di febbraio per considerare chiusa la partita. E anche allora, bisognerà prestare molta attenzione perché l’Isis continuerà a rappresentare una “grande e seria minaccia”.
Su ciò che prospetta il futuro, nella Siria che sta per essere liberata dal flagello delle bandiere nere, sono aperti numerosi interrogativi. Com’è noto, gli americani ritireranno i loro duemila soldati schierati nel nordest del paese sin dalla fine del 2015. Ieri il numero uno del Central Command Usa, il generale Joseph Votel, ha confermato che è questione di “settimane”. L’uscita di scena delle truppe Usa è la logica conseguenza di una vittoria, quella contro l’Isis, che per gli americani è cosa ormai fatta. Parlando mercoledì ai rappresentanti del 79 paesi della Coalizione Globale per sconfiggere l’Isis, il capo della Casa Bianca ha annunciato che entro questa settimana sarà stato liberato “il 100% del califfato”. Anche se le operazioni a Baghuz dovessero attardarsi, l’esito del conflitto è ormai segnato.
Ma debellare il progetto statuale degli jihadisti non significa la cancellazione definitiva della minaccia. Al contrario, come ha sottolineato lo stesso generale Votel in un’audizione al Senato la settimana scorsa, “la lotta contro l’Isis e l’estremismo violento non è finita”. “Sono dispersi e disaggregati, ma c’è (ancora) la leadership, ci sono combattenti, ci sono facilitatori”, ha spiegato ieri il capo del Central Command. Sopravvive, soprattutto, “l’ideologia profana che alimenta i loro sforzi”.
Un rapporto dell’Onu diffuso la settimana scorsa stima che l’Isis abbia ancora fino a 18 mila combattenti in Siria ed Iraq, compresi 3 mila foreign fighters. E un altro rapporto, compilato dall’ispettore generale del Pentagono, ha ammonito come, con quelle cospicue forze residue e in assenza della pressione esercitata dai soldati americani, il movimento potrebbe risorgere in appena sei mesi e tornare a controllare alcuni territori.
L’ultima battaglia contro l’Isis cominciata sabato si concluderà molto probabilmente nei prossimi giorni con una nuova vittoria per le forze curdo-arabe e per i loro alleati americani. E sarà uscito di scena, a quel punto, quel califfato che aveva rappresentato la sfida aperta dell’Islam militante contro i suoi nemici interni ed esterni. Ma la lotta contro il fanatismo non si fermerà a Bahghuz.
Approfondisci:
- Reuters: U.S.-backed Syrian force launches ‘final battle’ against Islamic State
- NPR: U.S.-Backed Kurdish Forces Launch ‘Final Push’ Against ISIS In Syria
- The Guardian: US-backed Syrian forces launch attack on final Isis stronghold
- Voice of America: US-Backed Forces in Syria Push to Oust Last of IS Group
- BBC News: Fighting slows ‘final push’ against IS in eastern Syria
- New York Times: A Desperate Exodus From ISIS’ Final Village
- Reuters: U.S.-backed Syrian fighters advance in clashes with Islamic State: official
- CNN: Votel: “Tens of thousands” of ISIS fighters in Syria and Iraq
- Reuters: Withdrawal of U.S. forces in Syria likely to start in ‘weeks’: U.S. general