Alla fine vince l’ala del rigore – quella del Ministro della salute Speranza, quella del collega alle regioni Boccia e in generale del Comitato Tecnico Scientifico – e il Dpcm di Natale esce come da prassi scontentando i governatori che si aspettavano, oltre che un maggiore coinvolgimento, almeno un moderato allentamento delle restrizioni. Prevale dunque la linea della prudenza auspicata dallo stesso Capo dello Stato:“per tornare a condizioni normali – aveva detto l’inquilino del Colle – è necessario sconfiggere il virus rispettando le norme di comportamento anticontagio malgrado i disagi anche gravi”. Agli italiani viene chiesto dunque un supplemento di sacrifici e la forza morale di accettare un Natale light, segnato da limitazioni e divieti. Divieti che hanno suscitato ad esempio l’ira del governatore della Lombardia Attilio Fontana, che ha definito “lunare e inaccettabile” impedire il 25 e 26 dicembre e l’1 gennaio lo spostamento dei cittadini tra comuni di una stessa regione anche solo per visitare genitori o figli. Accusa respinta al mittente dal leader del Pd Nicola Zingaretti che ricorda i numeri ancora troppo elevati dell’emergenza, con particolare riguardo al dato impressionante dei decessi del 3 dicembre: “in 24 ore – ha detto il segretario – quasi mille persone sono morte a causa del Covid. Rifletta chi non capisce quanto è importante tenere alta la soglia dell’attenzione; il nemico è il virus non le regole”. Agli occhi di chi ancora si ostina a non considerare la gravità della situazione, le norme introdotte dal nuovo Dpcm appariranno a dir poco persecutorie. Pur derubricata a raccomandazione sul contenimento del numero dei commensali da invitare al pranzo di Natale o al cenone di Capodanno, sconcerta l’intimazione del coprifuoco nelle due vigilie, con decisioni che impoveriscono non poco lo spirito di queste festività. Ma la norma che brucia di più è quella che impone di non uscire dal proprio comune il 25 e 26 dicembre e l’1 gennaio; una disposizione che si tinge di crudeltà pensando ai numerosi familiari e congiunti che non potranno ricevere una visita e gli auguri come da tradizione secolare. Chi si lamenta ha dunque i suoi buoni motivi, il cui peso però non controbilancia l’imperativo categorico di ridurre all’osso le occasioni di prossimità sociale in cui possono incunearsi le invisibili particelle del Covid. Sappiamo bene che le feste sono un moltiplicatore e un intensificatore di contatti ed è proprio questo il rischio che si è voluto scongiurare con l’ennesimo draconiano Dpcm. Nell’accettare dunque i sacrifici richiesti, ci possiamo consolare con l’accelerazione dei preparativi per la vaccinazione di massa che auspicabilmente dovrebbe porre fine a questa interminabile emergenza. Poco importa a questo punto che Gesù Bambino debba nascere quest’anno con qualche ora di anticipo: la speranza di un pianeta liberato dall’incubo della pandemia potrà supplire al venir meno dell’atmosfera festosa del Natale, mortificata dall’ultimo Dpcm.