Prosegue l’offensiva anti-trumpiana del presidente palestinese Mahmoud Abbas, ricevuto ieri a Mosca da un Vladimir Putin raggiante di poter giocare il ruolo, contrariamente alle reali intenzioni di Abbas, di facilitatore tra Stati Uniti e Palestina.
In effetti, l’incontro era stato concepito come un tentativo per Abbas di trovare una sponda a Mosca per il suo sforzo di isolare diplomaticamente gli Stati Uniti, rei di aver “regalato” Gerusalemme agli avversari israeliani con un annuncio televisivo in diretta mondiale il 6 dicembre scorso. Ma Putin, attore consumato della diplomazia internazionale e scacchista senza uguali, vede piuttosto l’animosità tra Donald Trump e Abbas come l’occasione per incunearsi ulteriormente nelle dinamiche mediorientali e ricavarne concreti vantaggi anche in termini di una rinnovata relazione di scambio con Washington.
È per questo che la miglior rappresentazione plastica dell’incontro di ieri si è manifestata in occasione della telefonata che Trump ha fatto a Putin poco prima che cominciasse il summit con Abbas.
Quando Putin e Abbas hanno cominciato la loro conferenza stampa il primo ha interrotto il secondo dicendogli di aver ricevuto poco prima la chiamata del presidente Usa. “Ovviamente”, ha detto Putin, abbiamo parlato del conflitto israelo-palestinese. Vorrei riferirle i suoi migliori saluti”. Ha quindi aggiunto che “il presidente Trump ha detto che questo è il momento di lavorare verso un duraturo accordo di pace”.
Un colpo di teatro magistrale che ha affossato in pochi minuti il tentativo di Abbas di trasformare questo vertice di Mosca in una condanna vocale nei confronti della politica trumpiana. Nel resto del pomeriggio infatti si sono succedute dichiarazioni per lo più scontate e anodine. Abbas ha ribadito la linea che ha cominciato a tirare il 6 dicembre, giorno dell’annuncio di Trump. “Dichiariamo che da ora in poi ci rifiutiamo di cooperare in qualsiasi forma con gli Stati Uniti nel loro status di mediatore, e siamo contro le loro azioni”. Ha quindi aggiunto quanto il suo inviato all’ONU Ryad Mansour aveva reso noto in Consiglio di Sicurezza la settimana scorsa, ossia la volontà palestinese di allargare il formato dei colloqui di pace in modo che siano coinvolti attori diversi dagli Usa. “In caso di un meeting internazionale”, ha spiegato Abbas, “chiediamo che gli Stati Uniti non siano i soli mediatori, ma solo uno dei tanti”, Ha fatto come esempio il modello del P5+1, ossia “il quartetto più altri paesi” che è stato usato per negoziare “l’accordo con l’Iran”.
Putin, per parte sua, non poteva non mostrare comprensione per i travagli del suo ospite. Che ha cercato di mettere a suo agio dicendogli che è “molto importante per noi sapere la vostra personale opinione in modo da mettere le cose in chiaro e cominciare con un approccio comune per risolvere questo problema”. Ha quindi ribadito la sua insoddisfazione per lo status quo e l’empatia nei confronti di chi ne soffre, ossia i palestinesi.“ Io so che ora la situazione è molto lontana da dove dovrebbe essere. Voi sapete che ho sempre sostenuto il popolo palestinese (…) il vostro personale punto di vista su cosa sta succedendo è molto importante per me”.
Ma di iniziative concrete non si è parlato. È rimasta, tra i due attori, l’ombra dell’ambiguità di chi sa che l’uno vorrebbe solo trarre vantaggio dall’altro. In particolare Putin, che da questa partita può guadagnarsi l’agognata amicizia con gli Stati Uniti e un ruolo da mediatore in un altro contesto chiave del mondo contemporaneo.