Huawei ma non solo. Anche Via della Seta e Alibaba. Potenzialità e rischi della presenza cinese in Italia e in Europa secondo Adolfo Urso, senatore di Fratelli d’Italia e vicepresidente del Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica
Su Huawei, il colosso cinese delle telecomunicazioni su cui pende l’accusa americana di favorire il cyberspionaggio da parte del regime di Pechino, è giunto il tempo delle scelte. Tutti i partner dell’alleanza occidentale sono stati sollecitati da Washington a escludere le apparecchiature Huawei dalle infrastrutture nazionali del 5G, e alcuni – a partire dai paesi del cosiddetto “Five Eyes”, che oltre agli Usa comprendono Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda – hanno già agito in tal senso. È una questione che incombe anche sul nostro paese, dove fervono i preparativi per il decollo del 5G, una partita che vede Huawei saldamente in pista.
In un dibattito nazionale ancora timido, nonostante la natura scottante dell’argomento, è arrivato come un sasso nello stagno l’articolo del quotidiano torinese La Stampa in cui fonti di Palazzo Chigi asseriscono che il governo – dopo aver ricevuto pressioni dagli Usa – è orientato a mettere al bando Huawei e l’altro gigante delle Tlc cinesi, Zte. Eventualità smentita però da una nota del Ministero dello Sviluppo Economico guidato dal capo politico M5S Luigi Di Maio.
Queste posizioni contrastanti denotano, se non altro, l’avvio di una discussione in seno all’esecutivo sull’opportunità di dare ascolto al nostro maggiore alleato e cominciare ad appurare, con gli opportuni strumenti, se esista o meno un problema Huawei che investe la dimensione centrale della sicurezza delle comunicazioni mobili.
Ma quanto è diffusa, nelle nostre istituzioni, la consapevolezza di questo problema? Che si dice, nel Palazzo, di Huawei?
Lo abbiamo chiesto ad un uomo politico che, nella veste di numero 2 del Copasir, sarà presto chiamato ad occuparsene: è il senatore di Fratelli d’Italia Adolfo Urso. Il quale, in questa conversazione con Start Magazine, spiega cosa stia facendo sull’argomento il Comitato per la Sicurezza Nazionale. E sviluppa con noi un ragionamento su quella che molti osservatori hanno preso a definire la nuova guerra fredda tecnologica che divide Stati Uniti e Cina, con noi europei nel bel mezzo della tormenta.
Lo scontro tra la potenza mondiale numero 1 e la seconda in classifica ci coinvolge in pieno e potrebbe presto obbligare il nostro paese a schierarsi. Come dimostrano le tensioni sui commerci tra Usa e Cina, i moniti di Washington su Huawei sono sono l’avvisaglia di un conflitto la cui posta in gioco, oltre alla supremazia nel campo nevralgico delle nuove tecnologie, è niente meno che l’ordine globale, e chi lo controlla. Chi mette le mani sul 5G, è in buona posizione per affermare il proprio dominio. Dietro il caso Huawei non c’è insomma solo l’ombra dello spionaggio attuato da un regime senza scrupoli.
Urso tutto questo lo sa, e non a caso riepiloga per noi le sfide che l’Italia ha avanti, in questo tempo di scontro Oriente-Occidente. Le nuove vie della Seta, anzitutto, e quindi la fitta trama di infrastrutture che dovranno stabilire una connessione permanente tra Asia ed Europa, attraversando Africa e Medio Oriente. I commerci, e le grandi piattaforme delle vendite on line. E, infine, le telecomunicazioni. Tutte cose che implicano precise scelte strategiche. E richiedono consapevolezza, quella che Urso sollecita per non farci trovare impreparati quando arriverà il momento delle decisioni. Come quella che pende su Huawei, da cui facciamo partire la nostra conversazione.
Senatore Urso, condivide le preoccupazioni degli Usa circa la minaccia cyberspionaggio posta da Huawei e Zte?
In molti Paesi e non solo negli Stati Uniti si è evidenziata questa preoccupazione che riguarda in generale la sicurezza cibernetica, e le garanzie che le società devono dare in merito all’utilizzo dei dati e alla sicurezza delle reti. È un problema che esiste ed è condiviso in molti paesi del mondo. Che oggi la cibernetica sia una delle frontiere della sicurezza in Italia, Europa e nel mondo è un fatto assodato. Il Comitato per la Sicurezza Nazionale ha recentemente attivato un’indagine conoscitiva in merito perché ovviamente abbiamo il dovere di accertare se ci siano tutte le condizioni di sicurezza nel nostro paese.
Però l’accusa mossa dagli Stati Uniti ad Huawei e Zte è circostanziata: esse favorirebbero lo spionaggio da parte del regime di Pechino. È un’accusa fondata secondo lei?
Se abbiamo attivato un’indagine conoscitiva è proprio perché vogliamo sapere di più su quanto sta emergendo da inchieste giornalistiche e dalle posizioni e dichiarazioni di altri Paesi. Abbiamo il dovere di saperne di più per poter fornire poi le nostre valutazioni. Certamente vi sono aspetti che vanno assolutamente vagliati: mi riferisco in particolare alle norme cinesi che obbligano qualunque azienda, tanto più aziende di questo tipo che operano nel settore delle telecomunicazioni, a fornire su richiesta un supporto all’azione investigativa del proprio governo. Noi abbiamo il dovere di capire se attori che agiscono in Italia danno sufficienti garanzie. Proprio per questo noi, come Comitato per la Sicurezza della Repubblica, abbiamo attivato un’indagine conoscitiva. Ma prima che si completi l’indagine non possiamo dare giudizi. Non sarebbe corretto farlo prima.
Ha letto su La Stampa che il governo sarebbe orientato a bandire Huawei e Zte?
Ho letto la notizia di un giornale autorevole che è stata successivamente smentita dal governo. Che il Mise abbia emesso una nota però non mi rassicura affatto. Come dimostrano gli eventi che si susseguono ogni giorno in tutti i campi, vi sono nel governo tante posizioni spesso contrastanti. Il fatto che un ministero, ancorché sia quello competente in questa materia, abbia emesso una nota non significa che gli altri ministeri la pensino allo stesso modo.
Però la questione scotta. Tutti i governi si stanno muovendo e le pressioni da Washington sono forti. La Stampa suggerisce addirittura che il nostro governo ricorrerà al golden power.
La questione esiste. Lo dimostra il recente provvedimento preso dalla Germania – paese che sino ad oggi si era mostrato interessato al mercato cinese – che l’ha vista posizionarsi in modo diverso rispetto alla sicurezza del suo sistema economico e tecnologico e alla possibilità di conquista da parte di aziende cinesi. Anche in Italia dovremo porci questo interrogativo e soprattutto dare una risposta convincente e mi auguro unanime, o quanto meno con largo consenso.
Però Huawei, in Italia, è un po’ dappertutto. Le sue attrezzature sono presenti in tutti gli uffici postali italiani, per esempio, e non si contano più le aziende del settore pubblico e privato che impiegano la sua tecnologia. In queste condizioni, come si fa a “staccare la spina” a Huawei?
Noi come le ho detto prima abbiamo attivato e non a caso un’indagine conoscitiva presso il Comitato per la Sicurezza Nazionale, che partirà a breve. E noi con questa indagine e le sue conclusioni daremo la nostra risposta. Mi auguro che il governo ne tenga conto e soprattutto che anch’esso, con gli strumenti che gli sono consoni, sviluppi un’indagine altrettanto approfondita per giungere a delle decisioni che non possono tardare, come dimostrano i nostri partner europei e internazionali che stanno assumendo decisioni significative e in certi casi drastiche.
È probabile che ci dovremo confrontare con una scelta binaria che ci sarà imposta dai nostri alleati americani: o con Washington, o con Pechino.
A me interessa relativamente quel che chiedono i nostri alleati. A me interessa il nostro interesse nazionale e la nostra sicurezza. Noi dobbiamo avere consapevolezza di quali siano gli attori in campo, di come si comportino, se si comportino in modo corretto o meno nei nostri confronti, se utilizzino strumenti non amichevoli. Non a caso, io ho presentato ad inizio legislatura una proposta di legge per istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sulle azioni di Paesi, entità statuali e imprese straniere che vogliono espropriarci della nostra conoscenza, della nostra tecnologia e del nostro sistema industriale, anche per individuare gli strumenti anche amministrativi nazionali, europei e internazionali per meglio tutelarci da questa nuova forma di guerra. Non è peraltro solo da attori orientali che dobbiamo guardarci, anche se per il momento l’attenzione è rivolta soprattutto a loro. A tal proposito, è urgente per l’Italia fare un ragionamento complessivo sulle sfide che abbiamo di fronte, sfide che riguardano la questione chiave della comunicazione.
Quali sono?
È in atto un confronto tra Occidente ed Oriente sulla supremazia tecnologica, scientifica, economica, rispetto anche alle nuove forme di conoscenza e comunicazione che la tecnologia ha fornito all’uomo, alle imprese e alle nazioni. In questo confronto, che qualcuno definisce la nuova guerra fredda, l’Italia ancora una volta, quale terra di frontiera, è coinvolta ed è anche preda per la Cina e per Paesi nominalmente nostri alleati e amici.
Entriamo nei dettagli.
Oggi la comunicazione passa per tre linee. C’è anzitutto la sfera dei trasporti, e per quanto riguarda il confronto di cui si parlava prima, si esprime attraverso la realizzazione della nuova Via della Seta marittima, che significa il dominio dei mari e del trasporto delle merci, di cui il porto di Trieste e il bacino dell’Alto Adriatico potrebbe essere il terminale naturale. È qui che il nostro paese deve definire la propria strategia, per capire se e come noi possiamo essere il terminale del grande corridoio marittimo che dominerà il traffico merci nei prossimi secoli tra l’Europa e l’Asia, attraverso Africa e Medio Oriente.
Si spieghi meglio.
Noi dobbiamo capire se possiamo avvantaggiarci di questo, evitando i rischi che potrebbero essere addirittura maggiori. Il secondo elemento della comunicazione globale su cui il nostro Paese deve fare un’analisi approfondita, è la rete: internet, 5G, fibre ottiche, l’intelligenza artificiale. Bisogna anche qui stabilire un nostro posizionamento rispetto ad alcune realtà che si stanno imponendo in questi anni e di cui Huawei è un caso esemplare.
Qual è il terzo aspetto?
Il terzo elemento su cui dobbiamo soffermare la nostra attenzione è quello delle vendite on line. Alibaba ha la supremazia nella vendita dei prodotti europei in Cina e in molti paesi dell’Asia. Ma se i cinesi decidessero di realizzare una rete altrettanto forte in Europa per vendere online i loro prodotti, questo comporterebbe un rischio per le nostre produzioni, per i prodotti italiani, nel mercato europeo che resta il mercato più promettente per il made in Italy.
E quindi?
Queste tre dimensioni della comunicazione – trasporti, internet, vendite on line – vanno viste nella loro compiutezza. E per farlo c’è bisogno che il nostro Paese faccia un’analisi completa per capire quale sia il miglior posizionamento per preservare la nostra sicurezza nazionale e tutelare le produzioni nazionali. Ecco, questa è la principale sfida che affronta oggi l’Italia, ed è tempo di assumere le decisioni che ci competono.
Marco Orioles